Un sindaco arrestato per corruzione, un consigliere comunale accusato di far da autista a boss calabresi, un’assessora (alla Cultura) che – a quanto emerge dalle carte – ha guadagnato il posto in giunta come contropartita di un bel pacchetto di voti. E poi vigili e funzionari pubblici pronti a vendersi, auto di funzionari comunali in fiamme, saracinesce saltate in aria, cittadini terrorizzati e strangolati da estorsioni, usura, minacce e soprusi nell’ambito delle loro attività economica. Per non parlare degli almeno quattro omicidi di mafia registrati negli anni 2000. E’ la lunga storia nera di Lonate Pozzolo, in provincia di Varese, il Comune, unito con Ferno, che vanta nel suo territorio l’aeroporto intercontinentale di Malpensa. Quella scattata il 3 settembre è l’ennesima operazione antimafia, con l’arresto, fra gli altri, di due agenti della polizia locale e un fuzionario dell’Anas accusati di aver favorito il clan mafioso del posto. Che a Lonate presenta da decenni gli stessi nomi e gli stessi volti.
A Legnano domina Vincenzo Rispoli, condannato in via definitiva come capo della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, operativo ormai da una trentina d’anni. E’ un pezzo da novanta che fu tra i commensali del celebre summit della ‘ndrangheta lombarda al circolo Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano, immortalato nel 2009 dalle microspie dell’inchiesta Crimine- Infinito. Lonate è invece il feudo di Mario Filippelli, talmente spietato e sopra le righe nell’ordinare pestaggi e attentati a chi non pagava il pizzo o i debiti d’usura, che a un certo punto Rispoli decise di farlo fuori, affidando l’incombenza al cugino della vittima designata, Nicodemo Filippelli. Il timore era che la violenza plaetale esercitata da Mario nel piccolo comune richiamasse l’attenzione di poliziotti e magistrati, fino a quel momento tenuti alla larga anche dalla assoluta omertà che regnava fra i lonatesi vessati. Troppo tardi, nel 2009 scattava l’operazione Bad Boys che squarciava il velo su una ‘ndrangheta feroce e padrona del paese di Malpensa, vegliato nella piazza principale da una grande statua di Sant’Ambrogio.
Otto anni la prima retata, molti dei protagonisti di quella stagione escono uscirono dal carcere, escluso Vincenzo Rispoli, tutt’oggi detenuto. E per prevenire nuovi conflitti, nel 2017 scese in campo la locale calabrese a cui legnanesi e lonatesi fanno rifermento, quella dei Farao-Marincola di Cirò Marina, in provincia di Crotone. Il plenipotenziario dei boss calabresi, Giuseppe Spagnolo, la risolse così: Lonate centro fu assegnata a Emanuele De Castro, palermitano, ma storico braccio destro di Rispoli; il quartiere di Sant’Antonino, cuore popolare della comunità calabrese, anzi, cirotana, a Mario Filippelli; da Ferno, ex Comune unito a Lonate, furono esiliati invece i fratelli Cilidonio, colpevoli di uno sgarro (macchina bruciata) a gente di rispetto.
A De Castro, che appena uscito dal carcere si dava da fare a rilevare locali pubblici nel circondario, restava il floridi business dei parcheggi privati a servizio dei passeggeri dell’aeroporto, di solito terreni brulli neppure asfaltati trasformati senza grossi investimenti in galline dalle uova d’oro. Ai Filippelli veniva assicurato il controllo di droga e usura. La riorganizzazione non passa inosservata agli investigatori, e il 20 giugno 2019 scattano gli arresti dell’operazione Krimisi 1, che coinvolge anche il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Enzo Misiani. E’ fa l proseguimento di quell’indagine che si arriva agli ultimi arresti del 3 settembre, favoriti anche dal fatto che De Castro decide nel frattempo di collaborare con la giustizia, seguito dal figlio Salvatore. Il quale aveva instaurato il monopolio dei famosi parcheggi: chi voleva aprirne uno era obbligato a entrare in società con lui.
Tra le tante armi sequestrate al clan per ordine della Direzione distrettuale antimafia, fanno impressione i sette chili di esplosivo Tutagex. I candelotti erano custoditi in un sacchetto della spesa con il logo di un negozio: “Ortofrutta Rispoli…”, seguono indirizzo e numero di telefono della rivendita di proprietà di Vincenzo Rispoli (una leggerezza che, si evince dalle intercettazioni agli atti di Krimisi 2, provoca non poche tensioni familiari).
Da una parte le armi, le bombe, gli omicidi, i pestaggi, i prestiti a strozzo, le estorsioni. Dall’altra la politica locale, che per almeno vent’anni ha fatto finta di niente riguardo alla presenza oppressiva della ‘ndrangheta sul territorio, e in non pochi casi ci è andata a braccetto. Cominciamo dall’ex sindaco Danilo Rivolta, di Forza Italia, a cui fra l’altro nel 2009 va in fumo la macchina, dopo che la stessa sorte era toccata alla vettura di una dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune. Eletto nel 2014 con il sostegno di centrodestra e Lega nord, tre anni più tardi viene arrestato per corruzione, concussione e altri reati, su ordine del tribunale di Busto Arsizio. Non è accusato di mafia. Però, si legge nell’ordinanza Krimisi 2, “non solo è risultato legato a diversi indagati dell’inchiesta Bad Boys (quella del 2009, ndr), ma la sua stessa elezione è frutto dell’appoggio di influenti famiglie calabresi, e la giunta che ne è conseguita, almeno in parte, è manifesta espressione delle famiglie cirotane”.
I magistrati citano (ma non risulta indagata) Francesca Federica De Novara, eletta in consiglio sempre nel 2014 e subito promossa assessora (Cultura, Istruzione e Politiche giovanili fra le tante deleghe). Ecco il ritratto familiare riportato dalle carte: nipote di Alfonso Murano, assassinato nel 2006 – uno dei tanti morti ammazzati nella zona per conflitti interni ‘ndranghetistici – moglie del pregiudicato Cataldo Malena, “ritenuto vicino ai gruppi di De Castro e Filippelli”. Dopo l’arresto, Rivolta mette a verbale che la nomina di De Novara “era frutto di un precedente accordo tra lui e il padre di quest’ultima, come contropartita in cambio di un considerevole numero di voti”.
Nell’inchiesta Krimisi 1 era finito in carcere un altro politico locale, Enzo Misiano, che da centralinista del Comune aveva fatto, nel 2012, il salto nel consiglio comunale di Ferno, con il Pdl, per poi passare nel 2015 a Fratelli d’Italia. Era lui, secondo l’accusa, a fare da autista con la sua Kia Sorento a Giuseppe Spagnolo, il plenipotenziario dei Farao-Marincola spedito a dirimere controversie di ‘ndrangheta nel varesotto. Nelle nuove carte troviamo Misiano che, poco prima di essere arrestato, si dà da fare per ottenere le autorizzazioni necessarie a trasformare lo spiazzo di uno sfasciacarrozze in un parcheggio di Malpensa, nell’interesse di Mario Filippelli. Interesse aumentato dal fatto che nell’estate 2020 l’aeroporto milanese di Linate rimarrà chiuso per lavori, è l’hub ne assorbirà voli e passeggeri.
Al telefono con un altro politico locale, Misiani assicura che l’indomani interesserà della faccenda un consigliere della Provincia di Varese (sì, esistono ancora), Giuseppe De Bernardi Martignoni (non indagato), anche lui del partito di Giorgia Meloni: “Domani chiamo Martignoni, gli dico Beppe i voti li hai voluti (…) ho il nome di quello che si occupa di queste cose in Provincia, fai una chiamata a questo qua e chiedi questo, questo, questo subito”. Della telefonata annunciata non c’è poi traccia, anche perché l’affare sfuma per le resistenze del titolare dello sfasciacarrozze. Che poi subisce la consueta dose di intimidazioni riservata ai cittadini di Lonate e Ferno che non si adeguano agli interessi del clan.