Diario del professore, data astrale 3 settembre dell’Anno Scolastico del Covid 2020-2021. A oggi siamo ancora qua, eh già. La scuola è ufficialmente ricominciata, quanto meno per quanto riguarda gli impegni collegiali e i recuperi. I famigerati e sbandierati corsi di recupero. Una manciata di ore per materia in cui recuperare gli apprendimenti che per i più disparati motivi non sono stati correttamente assorbiti durante il folle e destabilizzante secondo quadrimestre dell’anno scorso (ecco, io ormai parlo di giugno dicendo l’anno scorso, che sollievo).
Sorvoliamo su che cosa si possa effettivamente recuperare, sorvoliamo su cosa davvero si impari in un lasso di tempo così ridotto, sorvoliamo su come si possano condensare, che so, mille anni di storia in otto ore, anzi, già che ci siamo, sorvoliamo anche sul fatto che, in un periodo così faticoso e complesso, si sia deciso di valutare l’impossibile e giudicare l’imponderabile. Chissà che non debbano recuperare anche certi alunni che hanno inviato per mesi gli impeccabili compiti svolti dai loro genitori?! Ci saranno stati? Sicuramente no, a pensar male si fa peccato (ma mi pare la frase continuasse dicendo che ci si azzecca quasi sempre).
Comunque, disperso vada il mal pensiero, il primo settembre è arrivato e tutti gli insufficienti o coloro che non sono riusciti a dimostrare la loro preparazione, in nessuna fantasiosa modalità, si ritrovano al mattino a svolgere i moduli di recupero. Non riesco a trovarla una cosa del tutto negativa, soprattutto perché in un periodo come quello che stiamo vivendo, pieno di incertezze e paure, ha il sapore di una piccola prova generale. Anzi, una demo. Come quella dei videogiochi.
Le demo, in quanto versioni dimostrative, sono belle e accattivanti e infatti entrare a scuola, trovarla pulita e profumata, vedere seduti di fronte pochi e sparuti studenti invece che la solita mandria urlante è stato rasserenante. Voglio poi vedere tra due settimane, quando dal “bufalobus” scenderanno ammassati e ansanti, quanto mi sentirò rasserenata, ma i miei alunni mi hanno insegnato in tanti anni una grande tattica: quella di pensarci poi. Funziona così bene che mi pare la utilizzino anche ai piani alti.
Nella demo scolastica, inoltre, essendo pochi noi docenti (perché i corsi sono stati spalmati su più ore, più aule, più piani) e pochi loro discenti (perché ad avere l’insufficienza nell’anno della Dad, insomma, ci voleva dell’impegno anche lì), l’incanto di lavorare bene, ascoltare tutti, concedersi il lusso di correggere ogni cosa a tutti e subito, è stato inebriante.
Le fantomatiche mascherine? Ce le avevamo. Il tiepido autunno permette di tenere le finestre aperte, l’arietta ha sostituito l’afa di giugno che incollava il tessuto al volto e in fondo, per poche ore, non sembrano nemmeno tanto scomode. Il gel? Colonnine stracolme davanti ad ogni aula. Nelle demo funziona ogni aspetto, è quando scarichi il programma vero e proprio che scopri i bachi, che vengono alla luce le magagne. Che ti viene voglia di disinstallare tutto.
Mi scappa di dire una cosa simile commentando la ripartenza con gli alunni. E uno di loro, un bandito mascherato che neppure conosco bene perché l’ho ereditato da un’altra classe, ma che mi ha dato l’impressione di essere un tipo tranquillo, serafico commenta: “Massì, prof, non la prenda male. L’importante è che quest’anno cerchiamo di essere tutti positivi”. Non l’ha mica detto per fare la battuta, se n’è accorto quando hanno riso gli altri. Ridere va bene. Magari tutti positivi no. Ma un po’ ottimisti, via.