Da Sclavi e Camilleri a Nesbø, fino a registi e sceneggiatori tv: la figura del necroforo, o becchino, è sempre stata vista in completa antitesi col proprio lavoro. Romantico Francesco Dellamorte, buffo, sarcastico e goloso Pasquano, lussuriosa l’Alexandra di Harry Hole. Non fa eccezione il calcio: Amaral, becchino per davvero in gioventù, era un simpaticone.
L’avessero preso presidenti come Achille Lauro o Anconetani non avrebbero esitato un attimo a sfruttare appieno la professione di gioventù di Alexandre da Silva Mariano da Capivari, San Paolo. Abbinandola ad un viso bruttarello, con una evidente ptosi della palpebra (e dunque nettamente in antitesi a quello aggraziato di Francesco Dellamorte interpretato da Rupert Everett) ne avrebbero tirato fuori una narrazione gotica, per creare suggestione e spaventare gli avversari.
Ma Callisto Tanzi non era il tipo. E dunque fu lo stesso Alexandre detto Amaral a raccontare la sua storia: famiglia numerosissima e povera, senza né luce né acqua in casa. Quando gli offrono qualche real non ci pensa due volte. Neppure quando gli spiegano quel che avrebbe dovuto fare per guadagnare quei due soldi: lavare i morti, vestirli, prepararli per la cerimonia funebre. E non ci pensa neppure quando gli offrono il lavoro fisso al cimitero: va bene tutto per aiutare la famiglia.
E non è neppure di quei brasiliani che possono sperarci troppo, nel pallone: i piedi sono paulisti, non carioca, ma è un gran bravo ragazzo Alexandre, volenteroso. Corre, corre forte, non disdegna di menare qualche calcione. Lo nota il Palmeiras e lo prende: il sogno si è avverato. “La palla è cibo per la mia famiglia”, dice, “e per portarglielo devo correre, correre tanto”.v Amaral corre e il primo pensiero non sono auto sfavillanti e lusso, ma dare sostegno ai suoi fratelli, genitori, cugini.
Corre anche in maglia verdeoro in quella splendida olimpiade del 1996, ricchissima di talenti e coi club europei a osservarla attentamente. Il Parma in particolare che prende Crespo e già che c’è pure Amaral (che di fatto è già di Tanzi, essendo del Palmeiras). Lo vorrebbe Ferlaino per il suo Napoli almeno in prestito, visti i buoni uffici con Tanzi, ma Ancelotti decide di tenerlo in squadra. Però ci sono già Crippa, Dino Baggio, Bravo e anche Pietro Strada, un altro mediano non serve a molto: Ancelotti lo prova sulla fascia, ma pure lì la concorrenza è vasta. Amaral già a gennaio va al Benfica, anche per liberare lo slot da extracomunitario e tesserare Stanic. Neppure in Portogallo gli va granché bene e torna in Brasile.
Le porte dell’Italia gli si spalancano di nuovo quando chiama la Fiorentina. Lui accetta, sempre con entusiasmo, ma alla prima amichevole si infortuna gravemente: torna, gioca più che a Parma ma senza mai convincere, fino all’anno della retrocessione. Di lì comincerà a girovagare tra Brasile e altri campionati, fino a oltre 40 anni: negli ultimi tempi era diventato una star in Indonesia.
L’Italia gli è rimasta nel cuore, Firenze in particolare: i piedi brasiliani non li ha mai mostrati in campo, ma sulla pista da ballo pare di sì. Lo racconta lui stesso, sempre volentieri, quando rilascia interviste a media italiani. Non sarà stato un gran campione Amaral, ma tutti lo ricordano per simpatia e risata contagiosa. ”Corro in allegria”, disse, parlando del suo stile di gioco: becchino, sì, ma pieno di vita.