“Non avrei mai immaginato che sarei vissuto per vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa come illegali e nella stessa sentenza vedermi attribuito il merito per averle rivelate”. Edward Snowden, l’ex talpa che si rifugiò in Russia e fu incriminato per spionaggio negli Usa, commenta così su Twitter la sentenza della corte d’appello Usa del nono circuito che ha stabilito che il programma di sorveglianza di massa della National Security Agency (Nsa) sulle telefonate degli americani era illegale e forse anche incostituzionale. A denunciarlo era stato proprio Snowden, ex contractor della Nsa, che con questa decisione del tribunale si prende una rivincita a sette anni dalle sue esplosive rivelazioni. La sentenza è certo una vittoria alle associazioni che lottano per la difesa dei diritti civili e della privacy, ma anche una prova di tenuta del sistema americano del ‘checks and balances’.
Dopo lo scandalo del ‘Datagate’, Barack Obama promosse una riforma delle norme sulla sorveglianza ma non rinunciò a perseguire Snowden. Donald Trump invece potrebbe graziarlo, consentendo il suo rimpatrio: “Esaminerò il caso molto attentamente”, ha promesso a metà agosto, dopo averlo definito in passato un “traditore degno di essere condannato a morte”. Ma adesso potrebbe trasformarlo in un testimonial della sua battaglia contro l’intelligence e il ‘deep state’, quello che ha “spiato” anche la sua campagna nel 2016.
La pronuncia dei giudici americani è netta: il programma di sorveglianza di massa della Nsa ha violato il Foreign Intelligence Surveillance Act, con possibili profili di incostituzionalità. Ma la sentenza è anche imbarazzante per i dirigenti dell’intelligence, che prima negarono la raccolta consapevole dei dati e, dopo le rivelazioni di Snowden, si giustificarono sostenendo che quel sistema di spionaggio aveva giocato un ruolo cruciale nella lotta all’estremismo domestico: in particolare nel caso di quattro residenti a San Diego condannati nel 2013 per i loro aiuti al gruppo terroristico somalo al Shabaab. Affermazioni “in contrasto con i documenti classificati”, secondo la corte d’appello, che era chiamata a giudicare proprio questo caso, confermando le condanne perché quelle intercettazioni illegali non minarono le altre prove. Per l’American Civil Liberties Union la sentenza è comunque una “vittoria per i diritti alla privacy” e un colpo per la Nsa, che dallo scorso anno ha cominciato a sospendere il suo controverso programma.