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Mediaset, Vivendi e legge Gasparri: la partita è aperta. E avvocati e giudici hanno molto lavoro da fare

La Corte di Giustizia europea ha accolto il ricorso di Vivendi contro la decisione dell’Agcom che, sulla base della legge “Gasparri” (Tusmar, Testo Unico delle Radiotelevisione, Dlgs 177/2005), aveva ridotto la partecipazione di Vivendi in Mediaset al 10% (per quanto riguarda il diritto di voto) rispetto al 29% detenuta dal grande gruppo multimediale francese, a causa della contemporanea presenza di Vivendi in Tim (con una quota del 24%).

Il giorno in cui è uscita la notizia, il titolo Mediaset è salito di +5,2% (contro un calo del Ftsemib di -1,5%), probabilmente gli agenti di Borsa hanno scommesso su un accordo fra i due contendenti, l’attuale proprietà di Mediaset e Vivendi, per il controllo di Mediaset.

I giudici europei hanno lanciato strali sulla legge Gasparri, criticando in particolare la disposizione di limitare le possibilità di incroci societari fra il segmento della Tv e quello delle telecomunicazioni. Forse i giudici europei avrebbero dovuto valutare con più attenzione questo punto. Unico aspetto positivo della legge Gasparri è stato proprio quello di limitare tali intrecci. La legge Gasparri è nota per aver stabilizzato la situazione esistente all’epoca, bloccata sul duopolio Rai-Mediaset (scalfito solo nel 2003 dall’arrivo di Sky), per avere “ridato” la Rai all’Esecutivo (idea che ha avuto proseliti dieci anni dopo), per aver legittimato l’intreccio fra politica, affari, informazione. Su questi aspetti, forse, la Corte si sarebbe dovuta meglio concentrare.

Nel dicembre 2016, nella sorpresa generale, Vivendi (15,9 mld di ricavi contro 2,9 di Mediaset nel 2019) rastrella il 3% delle azioni Mediaset puntando ad arrivare al 20%. Si parlò di una “scalata ostile”. Mediaset è da sempre controllata dalla famiglia Berlusconi, tramite la società Fininvest, e il tentativo di scalata fu una sorpresa per molti, considerando il peso politico dello stesso Berlusconi.

Il tentativo di Vivendi di “impossessarsi” di Mediaset si è poi bloccato, anche per lo stop dell’Agcom citato all’inizio, e si è arenato nei tribunali (per la gioia degli studi legali). Lo scorso anno Mediaset ha lanciato il progetto della creazione di una holding in Olanda (Mfe, Media For Europe), il polo televisivo nel quale sarebbero confluite Mediaset e Telecinco; holding che avrebbe posto un muro insormontabile alle scalate ostili. Progetto contestato con successo da Vivendi e bocciato dai giudici di Amsterdam (che ha fatto seguito alla bocciatura del tribunale di Madrid).

Si è così arrivati alla sentenza europea. Qualcuno malignamente ha fatto notare che se non ci fossero stati nella legge Gasparri i limiti sull’intreccio Tv-Tlc, Mediaset avrebbe potuto controllare Tim, evitando così che l’ex monopolista finisse in mano ai fondi di investimento esteri. Il progetto della Rete Unica, avrebbe preso forse un percorso più lineare rispetto a quello che si sta delineando. Ciò però non è dimostrabile. All’epoca fu giusto e corretto che fossero inseriti quei limiti, limiti che sono validi anche oggi.

Si riapre con la sentenza della Corte europea la partita Mediaset-Vivendi. Come finirà? Di certo gli avvocati e i giudici avranno molto altro lavoro. Vi saranno ricorsi su ricorsi che allungheranno i tempi. Però le aziende hanno bisogno di certezze, di un assetto di comando stabile, per cui è auspicabile che si trovi quanto prima un accordo. C’è da sperare che non si formino ‘tifoserie’ per l’uno o l’altro gruppo basate su ideologie politiche. La partita si complica ulteriormente per il fatto che entrambe le società hanno partecipazioni importanti in Tim. La ‘confusione’ sul progetto della Rete Unica potrebbe aumentare! Chi scrive, per concludere, spera, come sempre in casi simili, che Mediaset rimanga un’azienda italiana.