di Donatello D’Andrea

Da diverse ore circola in rete l’immagine aberrante di un ragazzino con un fucile mitragliatore. Quel ragazzino si chiama Kyle, è bianco, ha 17 anni e con quel fucile ha ucciso due manifestanti che protestavano contro il tentato omicidio di Jacob Blake da parte della polizia.

Quell’immagine, finita su tutti i giornali, fotografa alla perfezione il declino di un’intera comunità, inserita in un sistema fallito, dove il benessere non ha insegnato a essere più umili e assennati, bensì violenti, razzisti e ingiusti. Questo ragazzo è il simbolo del fallimento degli Stati Uniti d’America.

A dire il vero, tutti i recenti fenomeni, gli scontri e le manifestazioni che hanno interessato quel pezzo di mondo confermano questa impressione. Una società ingiusta, divisa e impregnata di valori che lasciano il tempo che trovano e che non portano a nulla se non a fomentare ulteriormente delle divisioni.

Ma che razza di posto è un Paese dove la vendita e il possesso di armi da guerra è libero e dove il continuo ripetersi di episodi del genere non può dar luogo ad una discussione perché le lobby delle armi finanziano metà Congresso?

Che razza di posto è quel Paese in cui la sanità è privata, la borsa guadagna miliardi mentre milioni di persone perdono il lavoro e dove la disuguaglianza è arrivata a livelli improponibili per una democrazia che si dichiara ancora “un sogno”? La verità è che il sogno americano non esiste più. Quella bella frase che si pronunciava nel secolo scorso, secondo cui chiunque sia in grado di “vivere il sogno” americano può diventare ricco, ha smesso di avere un senso.

Le rivolte, quelle giuste e non pretestuose, sono l’unico modo attraverso cui abbiamo potuto comprendere quanto ingiusto sia quel grande lembo di terra oltre l’Atlantico e quanto le contraddizioni alberghino anche in quel Paese. Razzismo, ingiustizia sociale, cattivo esempio. Le tre costanti della politica americana che hanno portato Kyle a sparare.

Magari avrà visto quei coniugi invitati da Donald Trump alla Convention repubblicana, oppure avrà sentito di qualche americano alla Clint Eastwood che ha sparato a un neg** nella sua proprietà. Kyle è vittima e carnefice allo stesso tempo. Carnefice de iure e vittima de facto di un sistema alla deriva, dove chi dovrebbe dare l’esempio si comporta come peggio non può. Ma a differenza di quanto potrebbe pensarsi, la colpa non è di Trump.

Il tycoon è il prodotto di questo sistema suprematista, individualista, egoista e razzista. Un sistema che, anche se a tinte diverse, pervade tutta la società occidentale, entrata a sua volta in un vortice discendente che tra non molto tempo porterà alla sua autodistruzione.

Per cambiare passo non occorre sconfiggere Trump, non servirà a nulla. Occorre, invece, mettere in discussione un intero sistema, un intero modello di vita. Un sistema capace di nutrirsi della degenerazione societaria e capace di mettere un fucile in mano a un diciassettenne. Non so quanto la società odierna sia in grado di mettersi in discussione. L’autocritica e la riflessione sono due elementi che non vanno più di moda nella società odierna.

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