Come Fabrizio Petrillo, nato il 2 ottobre 1973, ha vinto 11 titoli italiani. Come Valentina invece è la prima volta in pista. Lei stessa ha raccontato la sua storia in un'intervista a Repubblica, alla vigilia della gara di Jesolo. Ma puntando a Tokyo
Il colpo di fulmine per l’atletica scatta nel 1980, vedendo Pietro Mennea vincere i 200 metri a Mosca. Ma poi il commento di un allenatore la spinge a ripiegare sul calcetto, e una patologia agli occhi complica ulteriormente le cose. Oggi Valentina Petrillo corre i 200 metri nei campionati paralimpici assortiti, nella categoria T12, quella riservata agli ipovedenti. Ed è la prima volta che gareggia come donna: come Fabrizio Petrillo, nato il 2 ottobre 1973, ha vinto 11 titoli italiani. Come Valentina invece è la prima volta in pista. Lei stessa ha raccontato la sua storia in un’intervista a Repubblica, alla vigilia della gara di Jesolo.
Atleta transgender e ipovedente, correrà con le donne anche se non si è ancora sottoposta all’operazione per il cambio di sesso: ha iniziato il trattamento ormonale a gennaio del 2019 e può gareggiare perché rientra nei parametri dell’eleggibilità per atleti trans ‘he to she’ fissati nel regolamento della World Athletics: in 12 mesi continuativi una concentrazione certificata di testosterone inferiore a 5nmol/L. Diverso invece era il caso di Caster Semeneya, che avrebbe dovuto abbassare ancora i livelli di testosterone per continuare a correre. “Non sono una persona né sleale né scorretta – dice per rispondere a chi l’accusa di aver cambiato sesso per avere un ‘vantaggio’ in pista – inseguo un sogno e la felicità. Mi sento donna a prescindere da quello che ho tra le gambe”.
Una sensazione che l’accompagna dall’infanzia, a Napoli: si metteva lo smalto e sognava il seno. Alla prima comunione, invidiava l’abitino bianco delle altre bambine, mentre a lui toccava il saio. Quando prova con l’atletica, un allenatore gli dice che “corre come una donna“, e lo dice come un’offesa. Ripiega sul calcetto. Ma agli esami di terza media Fabrizio si accorge di non leggere bene, che qualcosa negli occhi non va: la diagnosi è di degenerazione maculare ereditaria. “Non c’è niente da fare – racconta a Repubblica – io la prendo male, anzi non voglio proprio accettarlo”. Si trasferisce a Bologna, dove diventa programmatore informatico, e stavolta inizia a fare atletica sul serio. “Nel ’95 ho buoni risultati, potrei classificarmi per le olimpiadi di Atlanta, ma non mi sento a mio agio come uomo e lascio perdere – aggiunge – la mia ultima gara maschile è a ottobre del 2018″.
Nel frattempo, nel 2016, il matrimonio con una donna che, dice, “mi ha sempre sostenuto nel mio nuovo percorso” ma da cui ora, per legge, deve divorziare. Con la terapia ormonale il corpo cambia e le prestazione crollano: “Il primo mese sono ingrassata dieci chili, per 90 giorni non sono riuscita a correre, mi faceva male tutto. La mia mente andava veloce, il mio corpo no. Sono stati mesi distruttivi“. Ma ora è pronta a ripartire, ai blocchi di Jesolo: e l’obiettivo ora è qualificarsi per Tokyo.