Il racconto fiabesco di un sogno realizzato. Così incredibile che non può che essere vero. Per quanto la storia di Salvatore Ferragamo contenesse già tutto per essere straordinaria, Luca Guadagnino l’ha resa epica, realizzando uno dei suoi film più personali per quanto “applicati” a una biografia altrui. Forse perché il suo Salvatore – Shoemaker of Dreams risponde all’eterna domanda sull’atto creativo, così divino eppur squisitamente umano. “Cosa è il genio?” Si chiede il cineasta palermitano ma cosmopolita. E ancora “Come nasce un sistema, che sia il cinema o la moda? E l’ossessione furiosa di una ricerca costante di idee e creazione come si sposa con la tradizione e i valori della famiglia?”
A quanto pare Guadagnino ha trovato in Salvatore Ferragamo, autentico personaggio bigger than life, la risposta a queste domande. Il film, che va ben oltre il documentario classico, è alla Mostra veneziana fuori concorso e seppur della non breve durata di due ore, riesce a catturare l’attenzione dal primo all’ultimo minuto nel suo mostrarsi quale duplice viaggio (meta)fisico: da una parte, quello che perennemente compì Ferragamo a partire dall’inseguimento del Sogno americano quando si trasferì negli USA a soli 17 anni da semianalfabeta dalla minuscola Bonito, dall’altra, quello dello spettatore alla ricerca di Salvatore e delle sue magie creative attraverso le testimonianze di famigliari ma anche di critici di moda, del cinema, addirittura della scienza podologica. Mentre dunque la videocamera di Guadagnino viaggia orizzontale lungo strade e rotaie che la “carrellano” verso un destino ancora da scoprire, dall’altra immagini e girati d’archivio (che non escludono i disegni originali, gli autentici brevetti – da cui era ossessionato – gli studi sul piede..) s’intrecciano alle pregiate talking heads (una su tutti Martin Scorsese) che alternano il proprio racconto del genio ferragamiano alla voce dello stesso Salvatore, colto in una bellissima intervista fatta in Australia.
Il tutto governato dalla calda voice over di Michael Stuhlbarg, che ricordiamo fra i protagonisti di Call Me By Your Name. Salvatore Ferragamo, che era innamorato del piede e per il benessere del quale ha letteralmente rivoluzionato il concetto stesso di calzatura andando incessantemente alla ricerca della scarpa perfetta, è stato suo malgrado partecipe e co-creatore dello star system hollywoodiano (sue le calzature per le dive del cinema muto, ma anche i primi stivali dei western, per non parlare delle magiche scarpe del Ladro di Baghdad..) e del fashion nel senso moderno del termine. Partendo da Bonito, fu sempre protagonista della sua esistenza, innovatore lungimirante e indefesso capace di rischiare oltre la ragione in ciascuna delle tre sedi principali ove si svolse la sua vita/carriera: Santa Barbara, Hollywood e Firenze. In tutto questo, e il film di Guadagnino non smette mai di sottolinearlo, non si scordò mai di (ri)mettere al centro la famiglia, la comunità da cui tutto parte e tutto torna.
Appassionante dunque come un film d’avventura, Salvatore – Shoemaker of Dreams non può che chiudersi sulle scarpe, che per Ferragamo erano creature viventi, animate di vita propria e quindi necessariamente irripetibili (i pezzi unici sono tra le caratteristiche della produzione della maison). In attesa di vedere il film nelle sale – prossimamente grazie a Lucky Red – bello è chiudere con le parole che lo stesso protagonista scrisse in apertura della propria autobiografia: “Questo è il lavoro di tutta la mia vita: imparare a fare scarpe perfette, rifiutando di mettere il mio nome su quelle che non lo sono. Quindi, per favore, al di là della storia del ragazzino scalzo e ignorante che è diventato un celebre calzolaio, concentrate la vostra attenzione sul piacere che deriva dal camminare bene”.