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Djokovic squalificato, prima volta in 140 anni di Us Open. L’ultimo episodio buio nel 2020 di ‘Nole’, tra contagio e polemiche sul Covid

L'inaspettata uscita di scena del campione serbo farà sì che il prossimo vincitore della competizione, per la prima volta, sia un classe 90, a meno che il trofeo non finisca nella mani di Felix Auger-Aliassime, nato nel 2000. Questo episodio si aggiunge a un anno negativo per il numero uno al mondo, soprattutto dal punto di vista della popolarità

La prima volta in centoquaranta anni di Us Open. La squalifica del numero uno del mondo, Novak Djokovic, passerà alla storia come uno degli episodi più sorprendenti nella storia del tennis. Un incidente grave quanto sfortunato che consentirà al circuito di avere un nuovo campione Major, sei anni dopo il successo di Cilic proprio a New York. A meno che ad alzare il trofeo non sia Felix Auger-Aliassime (classe 2000), sarà il primo titolo per un giocatore nato negli anni ’90.

Questa esclusione rappresenta una macchia che difficilmente verrà cancellata nella carriera del serbo, andando a minare ancora di più una popolarità già molto debole di suo. Sopratutto se paragonata a quella di Roger Federer e Rafael Nadal, gli altri due termini di paragone. Un confronto, quello con gli storici rivali, che il serbo sente particolarmente, come hanno testimoniato le sue parole dopo la finale di Wimbledon 2019 vinta contro lo svizzero: “Sapevo anche come avrebbe reagito il pubblico. Avere gli spettatori dalla tua parte aiuta, ma se non è così devi trovare il modo di superare la difficoltà. Quando la folla gridava ‘Roger’ io sentivo ‘Novak’ ”. Quella pallina che colpisce il collo della giudice di linea rappresenta però anche il culmine di mesi difficili, durante i quali il serbo è stato più volte al centro delle polemiche.

E pensare che il periodo Covid-19 era iniziato nel migliore dei modi per Djokovic. Prima i due milioni di euro donati tra la Serbia e gli ospedali di Treviglio-Caravaggio e Romano in Lombardia per l’acquisto di attrezzature sanitarie, e dopo, in qualità di presidente del Player Council dell’Atp, la proposta di sostegno economico ai tennisti fuori dalla Top 100. Poi arriva la dichiarazione dello scorso aprile: “Personalmente sono contrario alla vaccinazione e non vorrei essere costretto da qualcuno a prendere un vaccino per viaggiare”. Una posizione che ha attirato diverse critiche. Come quella di Nadal: “Se fai parte di un circuito, forse devi attenerti alle regole richieste da quel circuito. Quindi, se il Tour obbliga i giocatori a vaccinarsi per poter viaggiare e per proteggere tutti, Djokovic dovrà essere vaccinato se vuole continuare a giocare a tennis ai massimi livelli. Intendo lui, ma tutti quanti, anche io”.

Ma il vero peccato originale di Djokovic si chiama Adria Tour, il torneo d’esibizione organizzato dal serbo e disputato a giugno tra la Serbia e la Croazia. Tutto rigorosamente a porte aperte e senza distanziamento sociale. All’assenza delle più basilari norme anti-Covid si aggiungono bagni di folla per i tennisti e serate in discoteca. Risultato? Dimitrov, Troicki, Coric e diversi membri degli staff vengono contagiati. A risultare positivo è anche lo stesso Djokovic. L’immediato annullamento del torneo non smorza le polemiche. Kyrgios definisce “sciocca” la decisione di giocare senza un protocollo sanitario. Il presidente dell’Atp Andrea Gaudenzi arriva addirittura a definire il serbo come un “bambino che non ascolta”. In tutto le persone contagiate saranno otto.

Passano due mesi e si arriva al 30 agosto. Djokovic annuncia la nascita della Ptpa (Professional Tennis Players Associaton), la nuova associazione indipendente dall’Atp per la tutela dei diritti dei giocatori. La prima dal 1972. Le perplessità sui modi e i tempi sono molte. Talmente tante da non convincere nemmeno Federer e Nadal, i quali invocano unità in un momento così incerto per il mondo del tennis. “Capisco – dichiara Nole – che alcuni hanno opinioni diverse e non pensano che sia il momento giusto. Io penso che lo sia. Legalmente, abbiamo tutto il diritto di formare l’associazione di giocatori. Questo non è un sindacato. Non è un boicottaggio. Non stiamo creando un circuito parallelo”.

È in questo mix di reazioni pericolose, dichiarazioni discutibili e scelte azzardate che è racchiuso il 2020 di Novak Djokovic. Una stagione che comprende anche la gioia per l’ottavo titolo agli Australian Open, conquistato appena otto mesi fa. Eppure, vedendo il numero uno del mondo lasciare l’Arthur Ashe a testa bassa dopo la squalifica, sembra essere passata un’eternità.

Twitter: @giacomocorsetti