“[Le persone che mi stavano interrogando] hanno inzuppato un asciugamano e mi hanno coperto il volto. Poi hanno iniziato a far scorrere lentamente l’acqua sull’asciugamano, mi sentivo soffocare. Hanno smesso per un po’. Appena mi sono sentito meglio, hanno ricominciato. Mi hanno anche preso a calci e a pugni e frustato con un cavo sulle piante dei piedi”.

“Le scariche elettriche sono la peggiore forma di tortura. Senti come se il tuo intero corpo fosse bucato da milioni di aghi. Se rifiutavo di rispondere alle loro domande, aumentavano il voltaggio e le scosse erano più forti. Tremavo violentemente e avevo la sensazione che tutto il mio corpo stesse andando a fuoco.”

Sono due delle numerose testimonianze contenute in un rapporto di Amnesty International che accusa le forze di polizia, le forze di sicurezza, i servizi segreti e le direzioni delle carceri dell’Iran di aver commesso, con la complicità di giudici e procuratori, una scioccante lista di violazioni dei diritti umani nei confronti dei manifestanti arrestati durante le proteste del novembre 2019.

Dallo scorso novembre, centinaia di persone sono state condannate a periodi di carcere e alle frustate e alcune di loro anche alla pena capitale, al termine di processi gravemente irregolari svolti a porte chiuse, durati spesso meno di un’ora e di fronte a giudici di parte che si sono sistematicamente basati su “confessioni” estorte con la tortura.

Le vittime sono state bendate o incappucciate; prese a pugni e calci e frustate; picchiate con manganelli, tubi di gomma, coltelli, bastoni e cavi elettrici; sospese o costrette a rimanere in posizioni dolorose per lunghi periodi di tempo; private di cibo e acqua potabile a sufficienza: poste in isolamento a volte per settimane o persino per mesi; e private delle cure mediche necessarie a curare le ferite riportate durante le proteste o a seguito delle torture.

Diversi prigionieri sono stati anche costretti a rimanere nudi e poi colpiti con getti d’acqua fredda; sottoposti a temperature estreme e/o a luci e suoni intensi; colpiti al volto con lo spray al peperoncino o esposti ad altre sostanze chimiche; sottoposti a scariche elettriche, al waterboarding (semi-annegamento) e a finte esecuzioni. Ad alcuni detenuti sono state strappate le unghie delle mani e dei piedi.

Le condanne inflitte variano da un mese a 10 anni di carcere per vaghi o pretestuosi reati contro la sicurezza nazionale, come “riunione e collusione per compiere reati contro la sicurezza nazionale”, “diffusione di propaganda contro il sistema”, “disturbo all’ordine pubblico” e “offesa alla Guida suprema”.

Almeno tre imputati, Amirhossein Moradi, Mohammad Rajabi e Saeed Tamjidi, sono stati condannati a morte per aver commesso il reato di moharebeh (atti ostili contro Dio) mediante atti di vandalismo. Un quarto imputato, Hossein Reyhani, è in attesa del processo per un reato per cui è prevista la pena di morte.

Al termine di oltre una decina di processi, alle condanne alla pena detentiva è stata aggiunta la sanzione delle frustate, eseguita in almeno due casi.

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