Gli assassini, inizialmente condannati alla pena di morte, hanno potuto godere di uno sconto grazie al perdono dei familiari. L'annuncio dei parenti, avvenuto come da tradizione alla fine del Ramadan, aveva provocato forti polemiche per i precedenti trasferimenti da parte delle autorità del Regno di denaro e altri beni ai figli del reporter, lasciando così ipotizzare un accordo tra il principe ereditario Mohammad bin Salman e la famiglia
Cinque persone sono state condannate in via definitiva a 20 anni di prigione, mentre le pene per altri tre imputati variano dai 7 ai 10 anni. È quanto ha deciso il tribunale di Riyad, secondo quanto riferisce al-Arabiya che cita la procura locale, nei confronti degli otto imputati per l’omicidio del giornalista dissidente saudita, Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre 2018 dopo essersi recato nel consolato del Regno, a Istanbul. Dalle Nazioni Unite, però, la sentenza non viene accolta positivamente: “Questi verdetti non hanno alcuna legittimità legale o moralele”, ha commentato la responsabile per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard, che su Twitter parla di “parodia di giustizia”. La fidanzata del reporter: “Una farsa”.
La pena per gli imputati è stata ridotta, rispetto alla sentenza di primo grado, dopo che gli stessi familiari hanno concesso il perdono ai killer, pratica che nel diritto penale saudita, che si basa sulla Sharia, permette un’attenuazione della condanna. L’annuncio dei parenti era giunto nelle ultime ore del mese di Ramadan, in linea con la tradizione islamica che permette simili gesti di clemenza, accompagnato da forti polemiche per i precedenti trasferimenti da parte delle autorità del Regno di denaro e altri beni ai figli del reporter, lasciando così ipotizzare un accordo tra il principe ereditario Mohammad bin Salman, più volte accusato di essere la mente dietro l’eliminazione del giornalista critico, e i familiari.
Le indagini e il processo sono stati portati avanti nonostante i resti di Khashoggi non siano mai stati ritrovati. Il governo saudita ha parlato di un’operazione non autorizzata di servizi deviati, negando ogni coinvolgimento dell’erede al trono, finito invece tra i sospettati dalla Cia e dagli esperti dell’Onu, oltre che dalla Turchia. A luglio si era aperto un processo in contumacia contro 20 sauditi a Istanbul, accusati di aver fatto parte dello squadrone della morte inviato da Riyad.
Dura la reazione della fidanzata del reporter, Hatice Cengiz, che con lui stava progettando di sposarsi: “Una totale derisione della giustizia – ha dichiarato in una nota – Le autorità saudite hanno chiuso il caso senza che il mondo conosca la verità su chi sia responsabile dell’omicidio di Jamal. La comunità internazionale non accetterà questa farsa. Sono più determinata che mai a lottare per la giustizia per Jamal”.
Callamard, commentando la sentenza, ha spiegato la sua posizione sostenendo che “sono giunti alla fine di un processo che non è stato né equo, né giusto, né trasparente“, ha aggiunto l’esperta indipendente che per mesi ha indagato sul caso, firmando un rapporto in cui puntava il dito anche contro bin Salman.