David Sime non ha nessuna voglia di sorridere. Se ne sta lì a fissare l’erba verde nella speranza che tutto passi il prima possibile. Almeno fino a quando lo speaker non annuncia il suo nome. Allora sale sul podio stancamente, senza troppa convinzione. La schiena ingobbita in avanti, il braccio destro che si alza in segno di ringraziamento, la testa che annuisce alle frasi di circostanza. Per lui le Olimpiadi di Roma del 1960 si sono trasformate in un incubo. Nonostante il suo metro e novanta, prima di partire per l’Italia era considerato l’uomo più veloce del pianeta. Solo che la terra rossa della capitale ha raccontato un’altra verità.

Ha vinto l’oro nella staffetta 4×100, ma i giudici hanno deciso di squalificare gli Stati Uniti per una irregolarità durante il passaggio del testimone. Nei 100 metri è andata ancora peggio. Perché centrare il record olimpico non gli è servito a niente. In finale il tedesco Armin Hary ha tagliato il traguardo con il petto in fuori e lo ha battuto per qualche centimetro. Così Sime si è dovuto accontentare della medaglia di argento. Eppure a preoccuparlo davvero è tutta un’altra faccenda. Perché David Sime non è solo uno degli sportivi più interessanti del mondo. È anche una spia. E la sua missione si sta concludendo con un buco nell’acqua.

La Cia lo ha avvicinato qualche tempo prima, attratta anche dal suo curriculum. Da giovanissimo ha detto di no a un’offerta dei New York Giants per poter andare all’università. E qui ha iniziato a giocare a football. Le sue prestazioni vengono notate dagli osservatori dei Detroit Lions, che gli offrono un contratto. Ma Sime rifiuta. Vuole continuare a studiare. Vuole diventare medico. Testa, ambizioni, risultati sportivi. Ha tutto per diventare un’icona. «Mio padre è stato avvicinato da un agente della Cia – ha raccontato il figlio Scott a On The Line – stavano cercando di far disertare qualche atleta ucraino che gareggiava per l’Unione Sovietica. E così hanno scelto mio padre, perché erano convinti che potesse spiegare bene la possibilità di ottenere la cittadinanza americana in caso di defezione».

Sport e politica che si allacciano insieme, propaganda in piena guerra fredda. Non si tratta dell’azione di un singolo, ma di un programma ben organizzato, diventato ormai pubblico grazie alla desecretazione di alcuni documenti riservati della Cia e al lavoro del Guardian. Il piano “Aerodynamic” parte nel 1959, durante un meeting di atletica leggera a Filadelfia. Le spie americane allacciano rapporti con gli atleti dell’Unione Sovietica. Parlano, scherzano, cercano di capire le loro abitudini. Poi buttano giù profili e annotano indirizzi. Per capire chi potrebbe scappare dall’Urss si usano i parametri più disparati. Secondo qualcuno basta che il soggetto sappia parlare la lingua inglese e ascolti musica jazz per diventare un possibile obiettivo.

Il Kgb capisce che sta succedendo qualcosa, così decide inviare una serie di atleti fedeli al partito che facciano da esca. Alla fine il prescelto è Igor Ter-Ovanesyan, filiforme saltatore in lungo nato a Kiev ma di origine armena. Ora tocca a David Sime e al giavellottista Al Cantello stabilire un contatto. Il primo abboccamento avviene anche grazie all’aiuto di sei agenti speciali che schermano il luogo dell’incontro in modo da tagliare fuori il Kgb. Gli americani pronunciano all’orecchio dell’atleta la parola “libertà”, che traducono in una casa e un lavoro in California, a pochi passi dalle star del cinema. Igor non si sbottona. Anzi, risponde che in patria è trattato bene. Snocciola tre promesse che gli sono state fatte in caso di medaglia: casa, auto e lavoro. Sembra una fase di stallo.

Così la palla passa a un altro agente che dovrebbe sbloccare la trattativa. Si chiama Mister Wolf. Ma stavolta non risolve problemi. Sime e Igor si rivedono a cena in un ristorante su via Merulana. Entrambi hanno paura di essere scoperti dalle spie russe. A un certo punto irrompe Mr Wolf che senza neanche presentarsi chiede a David Sime di andarsene. L’atleta statunitense obbedisce e si defila, così Ter-Ovanesyan entra nel panico, prende tempo, poi si alza e se ne va.

“Aerodynamic” si è trasformata in un gigantesco fallimento. L’unica cosa che resta in mano agli statunitensi è una lista di indirizzi ucraini. Serve un’idea. O geniale o folle che sia. Così qualcuno inizia a preparare gli scatoloni. Dentro ci finiscono riviste propagandistiche e qualche copia di “La Fattoria degli Animali” di George Orwell, non si sa se in lingua originale. Troppo poco per sperare di convincere qualcuno a disertare. E “Aerodynamic” diventa solo una pila di fogli chiusi in un archivio.

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