Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, metti una notte insieme Cassius Clay, Malcolm X, Sam Cooke, Jim Brown…

Fatto realmente accaduto la notte del 25 febbraio del 1964 ma poco conosciuto della storia compattato in One night in Miami (la stanza è quella del motel Hampton House nella città della Florida), titolo Fuori Concorso a Venezia 77, diretto da Regina King. Un film spiritualmente e nematicamente parecchio “black lives matter”

di Davide Turrini

Metti una sera insieme, in una stanza d’albergo, e per parecchie ore, Cassius Clay, Malcolm X, Sam Cooke, Jim Brown. No, non è una di quelle barzellette che iniziavano con “ci sono un…”, ma un fatto realmente accaduto la notte del 25 febbraio del 1964 dopo che Clay sconfisse Sonny Liston diventando campione del mondo dei pesi massimi. Stralcio poco conosciuto della storia compattato in One night in Miami (la stanza è quella del motel Hampton House nella città della Florida), titolo Fuori Concorso a Venezia 77, diretto da Regina King. Un film spiritualmente e nematicamente parecchio “black lives matter” perché dentro quella stanza, due letti, un corridoietto, un bagno e un cucinotto, dove un grande autore soul e due grandi campioni dello sport (per chi non lo sapesse Brown era una star della NFL e poi diventò una star di Hollywood e della Blaxploitation) vengono convocati più o meno direttamente da Malcolm X, sembrano decidersi parecchie traiettorie politiche più radicali e spinte, delle lotte per i diritti civili che si svilupperanno durante il decennio e, ovviamente, arriveranno fino ad oggi, con ancora parecchie disparità in sospeso.

I quattro prologhetti illustrativi che vanno a recuperare i quattro protagonisti delineano le amene restrizioni sociali a cui vengono sottoposte le celebrities: Cooke che non può prenotare di persona gli hotel di lusso ma può soggiornarci, Brown che viene invitato da questo ricco tizio bianco amico di famiglia ma dopo aver ricevuto sperticati complimenti in veranda non viene fatto entrare in casa “perché i negri non entrano in casa”. Insomma, la situazione è pesante, ma a parte Malcolm X, i tre sono diventate o stanno diventando, come Clay, tra le star più pagate e visibili non solo negli Stati Uniti ma nel mondo. Giocoforza che il predicatore musulmano voglia provare a stimolare i tre “negri di successo”, magari ascoltando Blowin in the wind di Dylan al giradischi, a fare qualcosa di più,. Ad andare oltre la fama per sensibilizzare soprattutto le folle di neri alla loro implicita causa. Causa che, badate bene, come oggi, non è una questione meramente dello stare soltanto tutti insieme appassionatamente, ma è nell’affermazione della propria cultura e storia, quel black power dell’apparire come si vuole e non come copie dei bianchi buoni e tolleranti. Un assunto che andrebbe abbastanza a genio a Spike Lee e Jordan Peele. Anche se One night in Miami dei due registi suddetti non ha nemmeno un’unghia di cinema, anzi.

La regia della King è tutto pallido e ritrito campo, controcampo, quadro d’insieme, che ridotto ad uno spazio piccino o sei Sidney Lumet, oppure quel ripetere, ripetere, ripetere, con l’unica idea di spostare Sam dove prima c’era Cassius, Jim dove prima c’era Malcolm, Cassius dov’era Jim, e via così… sa tanto di un’approssimazione registica, di gestione e senso dello spazio filmato, da rimandati a settembre (dell’anno prossimo), e forse anche a ottobre. Giovani e abbastanza acerbi i quattro attori protagonisti. Eli Goore, che interpreta il campione di boxe, sulfureggia come tradizione di Alì vuole, ma gli mancano profondità e spessore di una leggenda che un Will Smith nel film di Mann aveva assorbito come una spugna. Leslie Odom Jr (Cooke) è stato parte del cast del musical di successo Hamilton e prova a dare una poliedrica musicalità al monotonalità del suo personaggio. Aldis Hodge (Brown) attore con una certa esperienza alle spalle rimane dignitosamente nelle retrovie tanto che talvolta ti dimentichi che ci sia. Infine Kingsey Ben-Adir è un Malcolm X tenerissimo e fragile, quasi da operetta, un vero disastro a livello drammaturgico. “è una conversazione di 56 anni fa ma che sembra fatta oggi”, spiega la King in collegamento streaming dagli Stati Uniti alla conferenza stampa veneziana. “Spero che questo film possa avere un ruolo nel processo di cambiamento dei giorni nostri e che queste quattro icone rappresentino una voce per tutte le donne e gli uomini di colore”. “Quando mia madre vide per la prima volta Cassius Clay che diceva di sé stesso in modo spavaldo e divertito di essere bello, pensò ‘se lui che è nero dice di essere bello, anch’io posso essere bella’ – ha raccontato Goore – queste star hanno cambiato il paradigma con cui gli afroamericani valutavano se stessi, hanno avuto un impatto impressionante sull’autostima dei neri. E questo film cattura e ripropone proprio questa verità”.

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