Sembra che l’attuale dibattito sull’ipertrofia dell’assemblea parlamentare sia tutto italiano, ma non è così. Anche in Germania l’argomento è all’ordine del giorno per motivi legati al meccanismo di voto applicato all’elezione dei membri del Bundestag, cioè la camera elettiva del parlamento.
In estrema sintesi, in Germania vige un sistema di voto doppio: ogni elettore ha la possibilità di esprimere un voto per un candidato che risulta eletto solo se totalizza il maggior numero di voti nominali del collegio. Inoltre può esprimere un secondo voto del tutto indipendente dal primo per una lista, anche diversa da quella a cui appartiene il candidato a cui è andato il primo voto. I voti di lista determinano la composizione del Bundestag secondo un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5%.
Per motivi tecnici sui quali non è il caso di dilungarsi, a certe condizioni un partito che vince molti collegi (ovvero: i cui candidati risultano eletti in base al “primo voto”) ottiene dei seggi in più rispetto a quelli che gli spetterebbero in base al risultato proporzionale dei “secondi voti”. Siccome però questo falserebbe i rapporti di forza in parlamento, agli altri partiti vengono assegnati ulteriori seggi per compensare tali seggi extra. Insomma, un sistema inaspettatamente pasticciato, per essere tedesco, il cui risultato è che nell’arco di circa dieci anni si è passati dai 598 seggi previsti per legge agli attuali 709.
Anche se sul come e sul quando il dibattito resta acceso, tutti i partiti dell’arco costituzionale convengono sulla necessità di ridurre il numero di parlamentari. La settimana scorsa la große Koalition di governo tra Cristiano-Democratici (Cdu) e Socialdemocratici (Spd) ha raggiunto un primo risultato interlocutorio che prevede un netto ridimensionamento del meccanismo dei seggi extra e dei seggi di compensazione per la tornata elettorale del 2021. Per quella del 2025 si prevede di riformare in modo organico il sistema elettorale, riducendo così il numero di collegi e dunque di seggi.
Insomma, il fatto che un parlamento ipertrofico non sia funzionale è una verità che travalica i confini nazionali. Le differenze sono macroscopiche: in Italia tra Camera e Senato (entrambi elettivi ed entrambi dotati dei medesimi poteri legislativi) i parlamentari sono 945 e rappresentano 60 milioni di cittadini. C’è un rappresentante per ogni 63.158 abitanti. La Germania ha una popolazione di circa 83 milioni, che divisa per 709 (l’altra camera del parlamento, il Bundesrat, non è elettiva) fa un parlamentare per ogni 117.066 abitanti. Il giorno in cui il Bundestag tornerà ad avere i 598 seggi previsti dalla legge, il rapporto sarà di 1 : 138.796.
Perché è utile il confronto? Perché il dibattito politico sull’imminente referendum costituzionale del 20 e 21 settembre è incentrato su argomenti nel migliore dei casi inconsistenti, e falsi nel peggiore.
L’argomento del “risparmio dei costi” sarà pure formalmente valido, ma difficilmente potrebbe da solo giustificare la misura se, come dice Carlo Cottarelli, il risparmio prevedibile sarà dello 0,007% della spesa pubblica. E poi, non dimentichiamoci che siamo in Italia: quante probabilità ci sono che i parlamentari trombati in seguito alla riduzione vengano ricollocati presso una neocostituita “autorità indipendente per il coordinamento della riduzione del numero dei parlamentari” con lauti stipendi, per giunta neanche soggetti alla pubblicità e trasparenza di quelli dei parlamentari? Parecchie, secondo me.
Quindi bisogna concentrarsi su altro: che motivazioni adduce chi osteggia la riduzione? Si parte dal “serve solo a tagliare le teste alla Robespierre” (Pier Ferdinando Casini, Repubblica, 1° settembre 2020), passando per “deve avvenire all’interno di una riforma” (Maurizio Molinari, Repubblica, 26 agosto 2020), “gli altri paesi ne hanno di più” – che, come abbiamo visto, è un falso – (sul blog di Nicola Porro, 25 agosto 2020) per arrivare ai sofismi di chi sostiene che voterà “No” perché non voterà “Sì” (Angelo Panebianco, Corriere 31 agosto 2020).
Se questi sono argomenti per votare “No”, non mi stupirei di una travolgente vittoria del “Sì”, che infatti è sostenuto in modo decisamente più convincente da un assortita schiera di personaggi, dal costituzionalista Valerio Onida (“Il parlamento dimagrito potrebbe funzionare meglio” e “I correttivi non sono indispensabili”, Repubblica 24 agosto 2020), all’economista Roberto Perotti (“Con il taglio, il Parlamento sarà più efficiente” – anche perché già ora un terzo degli eletti è assenteista, nda -, Il Fatto Quotidiano 31 agosto 2020), a Enrico Letta (“Anche con 600 parlamentari avremmo un numero maggiore rispetto a Spagna o Francia”, festa dell’unità di Modena, 1° settembre 2020).
Che un parlamento più snello abbia ottime possibilità di essere più efficiente lo capisce anche un bambino, come del resto dimostra il parallelismo con la situazione tedesca appena descritta, e questo è certamente il più valido motivo per votare “Sì”. Un taglio dei seggi indipendente da una riforma elettorale è un rischio? Credo di no, concordando pienamente con Onida. Ma anche se lo fosse, ci sarebbe il tempo e il modo di adottare tutti i correttivi necessari. Per metterla con le parole di Antonio Polito: “Se una cosa è giusta non smette di esserlo perché ce ne sarebbero altre dieci da fare” (Corriere, 31 agosto 2020). Altrimenti non se ne fa mai nessuna.