I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti,
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Sono versi un po’ retorici, soprattutto se seguiti da “Bei cipressetti, cipressetti miei, fedeli amici d’un tempo migliore”. A ragione, il mio adorato professore di liceo ci spinse a odiare le poesie di Giosuè Carducci, autore di questi versi (Davanti a San Guido, in: Rime Nuove, libro V) e, a maggior ragione, ad amare Giovanni Pascoli, il poeta che immortalò il detto popolare ‘piove sul bagnato’ nelle sue Prose: “Piove sul bagnato: lagrime su sangue, sangue su lagrime“.
Confesso, però, che il drastico disboscamento dei cipressi di Castagneto Marittima sarebbe un durissimo colpo al cuore. Per ora, grazie alla provvidenza e alla soprintendenza, i cipressi di Bolgheri non corrono lo stesso pericolo dei pioppi cipressini (pioppi neri) di Milano Metropolitana, in via Galvani a Peschiera Borromeo. Domani è un altro giorno, si vedrà.
Le ragioni addotte dall’amministrazione locale per giustificare la strage di via Galvani sono legate alla sicurezza dei viandanti. Peraltro, una motivazione confutata da vari esperti. Una soluzione comunque ci sarebbe: avviare il traffico su un’altra carrabile, magari costruita ad hoc. E limitare il transito ciclo-pedonale alle condizioni atmosferiche favorevoli, poiché immagino che le tempeste di vento, sempre più frequenti, siano il principale fattore di innesco dei crolli di queste piante meravigliose. Salvaguardare un elemento caratteristico del paesaggio come questo doppio filare maestoso sarebbe un segnale importante, che invertirebbe le politiche urbane di devastazione irreversibile del paesaggio italiano, messe in moto da molti anni.
In Italia, la difesa del paesaggio segue la stessa, ultracentenaria, strada tracciata dalle politiche di difesa del suolo. A parole, siamo tutti verdi. Nei fatti, siamo tutti “verdi e…”. Gli esempi di siderale distanza tra proclami e fatti sono numerosi anche nella odierna Milano Metropolitana, forgia di iniziative del “piantumare là per disboscare qua”. Vengono giustificate con le più svariate necessità: garantire la sicurezza, costruire casermoni di pubblica e privata utilità, migliorare la viabilità o la mobilità. E il paesaggio di via Galvani dopo la cura è francamente imbarazzante.
In Bombe d’Acqua (Marsilio, 2017) scrivo: “In realtà, sono quasi sempre state politiche del cerchiobottismo, della «messa in sicurezza e…» dove la sicurezza, se venduta come spesso accade a probabilità zero ossia zero rischio residuale, è un falso ideologico. Inoltre, ciò che segue la congiunzione «e…» vale assai più della premessa: messa in sicurezza e ritocco urbanistico, messa in sicurezza e sistemazione viabilistica, messa in sicurezza e parcheggi, messa in sicurezza e tramvia metropolitana… Quando non si tratta di una messa in sicurezza per… che si traduce in messa in sicurezza per aprire un centro commerciale, messa in sicurezza per costruire un porto turistico, messa in sicurezza per allargare la strada e costruire il ponte o lo stadio. In fondo, anche l’abortito Progetto Garibaldi (1871) sul Tevere a Roma aveva un secondo fine: creare un parco fluviale attorno a un piccolo rio residuale”.
Con il paesaggio accade esattamente la stessa cosa: un coro unanime ne invoca la difesa nelle giornate del Fai e ne fa una bandiera sui media, lo si sacrifica a ogni altra necessità tutti gli altri giorni dell’anno.
I pioppi cipressini furono piantati per risparmiare sul costo dei cipressi veri e propri, ma si adattano anche meglio degli “originali” alle aree ricche di risorgive, come il sud-est del Milanesato. In origine, la prima piantumazione del viale di Bolgheri – iniziata nel primo Ottocento dal Conte Guido Alberto Della Gherardesca, vero pioniere dell’agricoltura moderna in Toscana – fu realizzata proprio in pioppi cipressini. Erano piante assai saporite per gli animali selvatici, soprattutto bufali allo stato brado, che popolavano numerosi quella zona. E furono quindi sostituiti con i cipressi molto amati da Carducci, meno dai bufali. Lungo le praterie di Peschiera Borromeo vagabondano per caso dei bufali allo stato brado? Lo chiedo per un amico (animalista).
I pioppi sono la più affascinante essenza nativa della pianura padana fin dai tempi in cui Fetonte salì sul carro e, una volta in cielo, ne perse il controllo per la paura del vuoto. Il carro infuocato prese a divagare troppo in alto nel cielo e poi piombò troppo vicino alla Terra, bruciando tutto ciò che toccava. Per salvare l’umanità, Zeus lanciò un fulmine mortale che precipitò il povero Fetonte nel fiume Eridano, quello che oggi si chiama Po. Mentre i cavalli tornavano soli alla stalla, le Eliadi – sorelle di Fetonte – piangevano così disperate che Zeus, mosso a pietà, le trasformò in pioppi. E le loro lacrime si ripetono sotto forma di gocce di ambra che i pioppi tuttora versano lungo le rive delle rogge padane.
Se queste lacrime mettono a repentaglio la carrozzeria dei Suv – bisonti fuoristrada che amano l’asfalto liscio come un biliardo senza il disturbo di radici arboree che increspino la pavimentazione – l’amministrazione se faccia una ragione. La maggior parte dei cittadini contrari alla strage non è fatta di visionari in attesa di un balzo di saluto da parte dei pioppi cipressini di via Galvani. È gente calma, tranquilla, serena, che ama il paesaggio anche da fermo.