I primi giorni di scuola, si sa, sono sempre stati segnati dall’incertezza, dalla novità, da un po’ di paura, soprattutto quando si inizia un nuovo ciclo: che compagni avrò? Come saranno i professori? Quest’anno i dubbi e le preoccupazioni sono altre e nessuna di facile soluzione. L’emergenza Covid ha riconfigurato non solo l’aspetto delle aule, che avranno i banchi distanziati, ma anche il modo di pensare la scuola. Gli ultimi mesi dello scorso anno scolastico sono passati attraverso la rete, con non poche difficoltà.

Gli insegnanti andrebbero lodati per la rapidità con cui hanno saputo riconfigurare il loro metodo di lavoro (cosa non facile, lo dico per esperienza), ma in qualche modo ce l’hanno fatta. Ora si riparte in presenza, per fortuna. Dopo una prima sbornia iniziale di entusiasmo e di “webottimismo”, ci siamo accorti subito di quanto sia limitante l’ormai celebre Dad. Anzi ad accorgersene per primi sono stati i bambini, i quali, credo primo caso nella storia, hanno manifestato il desiderio di ritornare in aula. Mancava loro quella socialità che si crea a scuola.

Già, perché la scuola non è solo un luogo dove si apprendono delle nozioni, è anche il luogo dove si impara a vivere e a convivere con gli altri, a mediare le relazioni, a riconoscere il diverso. È a scuola che si formano i cittadini, ma se questa socialità viene meno o è ridotta, cosa accade? La paura del contagio, assolutamente legittima, ci costringe a limitare questo desiderio di vicinanza, di relazione, ci obbliga a nascondere sorrisi e smorfie dietro una mascherina, a evitare quel contatto che soprattutto per noi mediterranei è parte integrante del linguaggio.

L’emergenza ha messo drammaticamente in luce (se mai ce n’era bisogno) dei troppi decenni di trascuratezza di cui è stata oggetto la scuola a tutti i livelli. I diversi governi e i relativi ministri, perlopiù incompetenti, non hanno fatto altro che avviare continue inutili (se non peggiorative) modifiche, tanto per legare il loro nome a una riforma, senza mai davvero intraprendere una seria riflessione sul ruolo della scuola oggi, in un contesto di profonda trasformazione. Oggi paghiamo anche questo prezzo.

La scuola italiana è caratterizzata da un ottimo livello di insegnamento, inserito in una struttura organizzativa farraginosa, carica di burocrazia e poco pensa alla formazione. Dalle primarie all’università si produce un eccesso di burocrazia inutile, ridondante, che spesso serve solo a mascherare i veri problemi.

Anche in questi mesi abbiamo assistito a un proliferare di normative su come gestire questa situazione, ma mai una parola sui contenuti degli insegnamenti, sui problemi dei ragazzi, su come configurare una scuola di impostazione ottocentesca, con una realtà in continua evoluzione. Nulla: si producono decine di circolari, di protocolli, ma non si affronta mai il nocciolo del problema.

Tra pochi giorni, quando le aule finalmente si riempiranno, si apre una nuova sfida. Dovremmo esserne all’altezza, altrimenti sarà una catastrofe. Abbiamo bisogno di insegnanti, di attrezzature, ma soprattutto di rimettere la scuola al centro della nostra visione della società. Anno dopo anno la scuola e gli insegnanti sono stati spinti sempre più ai margini, il loro ruolo impoverito, svilito, da salari bassi, da genitori “tifosi” dei loro figli, da politici che ne parla in toni denigratori – “i professoroni”.

La cultura, il sapere ha perso di credito, uno vale uno, quindi… Quindi la realtà è sempre più complessa e ai nostri giovani diamo sempre meno strumenti per comprenderla. Un esempio? Abolire la geografia in un mondo globalizzato.

Se non pensiamo che la scuola e l’istruzione, la formazione in tutte le sue declinazioni siano il pilastro fondante su cui costruire il nostro futuro, abbiamo perso. Il sempre maggiore numero di Neet, il crescente abbandono scolastico sono i segni drammatici che ci dicono dove stiamo andando. Quindi, giustamente prendiamo tutte le precauzioni per proteggere gli studenti dal pericolo virus, distanziamo i banchi, usiamo le mascherine, ma pensiamo anche a costruire dei percorsi scolastici diversi. Il virus prima o poi scomparirà, l’ignoranza forse no.

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