Non sorprende il terzo incendio in 48 ore nell’hotspot della vergogna di Moria, a Lesbo, dove sta evidentemente fallendo la politica europea che ha deciso di nascondersi dietro il dito di un’isola-lazzaretto.
Il governo greco, già zavorrato da debiti e dall’emergenza Covid, si è prontamente mobilitato per fornire sostegno immediato, ovvero alloggio, cibo e protezione sanitaria a queste persone vulnerabili, ma con un rischio concreto di guerra civile sull’atollo che diede i natali alla poetessa Saffo.
Da ieri è in vigore uno stato di emergenza per cui i 406 minori non accompagnati sono stati trasportati fuori da Lesbo, in tre diverse missioni. Oggi all’alba è giunta una nave per accogliere le famiglie e allo stesso tempo si stava lavorando in modo che stanotte nessuno dorma senza un tetto sopra la propria testa.
Ma, come osservato dal portavoce del governo greco, Stelio Petsas, alcuni ospiti non hanno rispettato il Paese che li ha ospitati come dimostrano i tre incendi dolosi, appiccati per distruggere un luogo che – va ricordato – è al momento disumano, perché contiene tre volte il numero della sua normale capienza. Per cui, fatta eccezione per i minori non accompagnati che sono già stati trasferiti, gli altri non lasceranno l’isola.
Il governo si sta muovendo su tre direzioni: alloggio, alimentazione, protezione sanitaria. Il rifornimento quotidiano di cibo sta già proseguendo, normalmente, nei luoghi dove i rifugiati e migranti sono stati temporaneamente raccolti, in collaborazione con le organizzazioni umanitarie. Sono inoltre iniziati migliaia di test molecolari anti Covid mentre altri 19mila sono già stati inviati sull’isola, secondo il protocollo nazionale.
“Lo scopo è portare ordine – ha detto – e per entrare bisogna fare i test e normalizzare la situazione: non c’è spazio per divisioni e irresponsabilità. Per cui l’obiettivo principale è il decongestionamento e la costruzione di una struttura chiusa e controllata”.
Fino ad oggi ci sono stati dei piccoli progressi: dai circa 21mila immigrati complessivi a Moria oggi siamo scesi a circa 12mila. E con l’accelerazione delle procedure di asilo e l’aumento dei rimpatri entro la fine dell’anno, il Ministero dell’immigrazione punta ad arrivare a circa 7mila.
Come ho detto oggi intervenendo sull’emittente tedesca Radio Colonia, di più la Grecia non può fare e sarebbe da incoscienti pretenderlo: sarebbe però il caso di avviare un dibattito vero e articolato in sede europea, per certificare il fallimento della strategia dei bonus. I sei miliardi dati dall’Ue a Erdogan per tenere sigillati i cinque milioni di profughi su suolo turco sono già stati “digeriti” da Ankara, che adesso ne vuole altrettanti. Così come i nuovi stanziamenti di fondi Ue verso la Grecia non saranno sufficienti a gestire una migrazione biblica.
Occorre una consapevolezza europea, nei fatti e non solo nelle intenzioni, affinché gli altri stati membri recitino un ruolo primario e non si limitino a sottolineare con la matita blu gli errori commessi.
E’ questo un momento delicatissimo nel Mediterraneo orientale per via delle continue provocazioni turche contro Grecia e Cipro: addirittura un sottomarino di Ankara si è spinto a poche miglia dalla costa ateniese. Le criticità dell’Ue sono protofaniche: gli stati membri non hanno una posizione comune sulle provocazioni turche, come non ne hanno avuta una sul tema immigrati e sulla Libia. La costruiscano in fretta se non vorranno che altra destabilizzazione si sommi alla tragedia di vite spezzate (e annegate).