“Buongiorno, sono Sandro è sto facendo un percorso di riabilitazione post-Covid”. Sandro Ortolani, 62 anni, docente di infermieristica alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche porta addosso i segni di una battaglia durissima contro un nemico sconosciuto e feroce, il Covid-19. Alla fine Ortolani ha prevalso dopo sei mesi di lotta, due dei quali trascorsi in terapia intensiva al regionale Torrette di Ancona. Due giorni fa, prima di lasciare l’ospedale, Ortolani ha acconsentito a registrare un breve video in cui lo si vede seduto su una sedia a rotelle, la mascherina chirurgica indossata e alla base del collo il cerotto a proteggere la ferita della tracheo, necessaria per la respirazione durante i mesi in rianimazione.
Dopo la breve introduzione il 62enne viene raggiunto dal personale della clinica di neuroriabilitazione che lo ha seguito per quattro mesi. Sono Michele, Francesca, Federica, Daniele, Margherita, Matteo, Manuela, Viviana, Silvia, tutti giovanissimi: “Abbiamo preso in carico Sandro fin dalla terapia intensiva quando era ancora Covid+. Lui è la dimostrazione dell’efficacia e della riuscita di un progetto riabilitativo che grazie ad un lavoro di équipe lo ha portato dopo quattro mesi di nuovo a camminare. One team, one vision, one goal”. Per settimane Ortolani è stato tra la vita e la morte a causa della virulenta forma di polmonite bilaterale. Come si suol dire dice in gergo medico, i sanitari sono stati diverse volte sul punto di staccare le macchine: “Sono vivo per miracolo. Più volte ho sfiorato la fine. Se mi sono salvato lo devo alla bravura dei medici della clinica di rianimazione di Torrette e ai sanitari degli altri reparti, oltre al fatto che prima del contagio non avessi alcuna patologia pregressa. Sono stato trattato con l’Ecmo (Ossigenazione extracorporea, una tecnica per aumentare l’afflusso di ossigeno nel sangue, ndr.) e Torrette è un centro d’eccellenza in questo senso”.
Il professor Ortolani è arrivato al pronto soccorso in gravissime condizioni il 12 marzo scorso, proprio nei giorni in cui la pandemia stava iniziando a colpire duro nelle Marche. Ieri, dopo quasi sei mesi di clausura forzata trascorsi in ospedale, passando da un reparto all’altro, ha finalmente potuto respirare aria buona e tornare a casa dai suoi cari. Un tempo infinito il periodo di degenza a cui è stato costretto il docente universitario, ad oggi nelle Marche il più lungo tra tutti i pazienti colpiti dal Sars-Cov2: “Dei due mesi circa passati in un letto di rianimazione non ricordo nulla, neppure tutte le volte che i sanitari hanno provato a risvegliarmi – racconta Ortolani – Quando mi hanno trasferito in un reparto semi-intensivo, in pneumologia, sono riuscito a ricostruire cosa mi stava accadendo. La vicinanza della famiglia è stata fondamentale. I tantissimi tributi d’affetto da parte dei miei studenti di corso e di tutti quegli infermieri che ho formato in quasi un quarto di secolo di carriera universitaria mi hanno commosso e dato la forza di reagire. Adesso cammino con l’aiuto di una stampella, sono debilitato e il percorso per la guarigione è ancora lungo davanti a me, però si può fare. Il prossimo obiettivo che mi sono prefissato è quello di poter tornare in un’aula della facoltà di medicina e riprendere l’insegnamento, magari già a gennaio e in presenza. Tanti futuri infermieri hanno bisogno di me”.
Proprio i suoi alunni, attuali o passati, hanno voluto mandare, via social, diversi messaggi al loro professore, tra i più amati dagli studenti. Pensieri di affetto e stima verso quel professore, uno dei primi che si incontrano quando si inizia la laurea triennale in infermieristica, sempre pronto a dare le dritte giuste o un sostegno, o a sdrammatizzare con una battuta ironica. “Lo sapevamo che sei una roccia“, scrive una sua ex alunna, ora diventata collega. “Grande prof!”, commentano altri condividendo il video che lo vede protagonista.
Ed è forse dall’ambiente accademico che Sandro Ortolani potrebbe aver subìto il contagio da Covid-19 nel marzo scorso, quando nelle Marche l’allarme stava diventando qualcosa di più, le scuole chiudevano e gli ospedali si riempivano di centinaia di pazienti infetti: “Non penso lo abbia contratto andando a ballare, ormai da qualche anno non frequento più le discoteche – scherza il docente della Politecnica delle Marche prima di rifarsi serio – Ritengo plausibile la possibilità di aver contratto il Covid-19 al lavoro. In pochi giorni sono passato da una situazione di salute ottima a rischiare la vita. Addosso porto i segni della malattia e so cosa ho passato, quindi spero che la mia storia possa servire a risvegliare le coscienze. Chi ritiene la pandemia una sciocchezza, chi rifiuta di rispettare le regole, di proteggersi e di infischiarsene delle misure di sicurezza vive su un altro pianeta. Del resto c’è chi ritiene che la terra sia piatta. Davvero, i negazionisti non li riesco a capire e i social contribuiscono a peggiorare le cose. I giovani? Non tutti hanno la testa sulle spalle, ciò che vedo non mi tranquillizza nell’ottica della riduzione dei contagi. A loro lancio un appello: almeno indossate la mascherina”.