Le frizioni tra i Paesi europei, Germania su tutti, e la Russia dopo l’avvelenamento del dissidente Aleksej Navalny – caso sul quale il Cremlino si è detto pronto a collaborare – hanno risvegliato anche i mai sopiti contrasti interni al Vecchio Continente, che si allargano anche agli Stati Uniti, sulla realizzazione di una delle opere più importanti per Vladimir Putin che potrebbe stravolgere gli equilibri non solo economici, ma anche geopolitici, dell’intero continente: il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Da una parte la Germania di Angela Merkel che, bisognosa di gas per soddisfare il fabbisogno nazionale, otterrebbe grandi vantaggi economici da un’infrastruttura capace di trasportare, partendo dalla cittadina costiera russa di Vyborg e attraversando il Mar Baltico, circa 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno a Greifswald, nella Repubblica Federale, a costi inferiori rispetto agli altri grandi canali di approvvigionamento. Dall’altra il coro di coloro che contro l’opera si sono più volte schierati, anche duramente: i Paesi dell’est Europa, l’Unione europea e, soprattutto, l’altro grande competitor di Mosca in campo energetico e geopolitico, gli Stati Uniti.
A scatenare l’ultimo scontro sul Nord Stream 2 sono state, prima, le parole del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas: “Mosca non ci costringa a bloccare il Nord Stream”. Seguite dalla mancata smentita del portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, che, sull’onda delle pressioni anche interne alla Cdu, il partito della Cancelliera, si è limitato a dire che tutte le opzioni sono sul tavolo. “Per capire se la Germania può permettersi di ordinare lo stop di un’opera così importante è necessario analizzare diversi aspetti – dice a Ilfattoquotidiano.it Marco Di Liddo, Senior Analyst del Centro Studi Internazionali (Cesi) – Innanzitutto, lo stop unilaterale a un progetto del genere, completato per oltre il 90%, con decine di aziende coinvolte, richiederebbe da parte di Berlino il pagamento di una penale tutt’altro che irrisoria. Inoltre, questa ipotesi minerebbe anche l’affidabilità commerciale della Repubblica Federale, da sempre un suo punto di forza in campo internazionale. Il Nord Stream 2 rafforzerebbe anche Berlino in Europa nel campo della distribuzione di gas russo, rendendolo di fatto il rubinetto nel Vecchio Continente, primato che non penso siano disposti a rinunciare”. Anche perché le alternative al gas russo non sono così economiche: “Le due opzioni di livello attualmente disponibili sono quella qatariota e quella dello shale gas americano – continua Di Liddo – Ma entrambe sono più costose perché il trasporto avviene via mare, sulle navi. E in questo momento storico è difficile che il governo Merkel possa chiedere ai propri cittadini un esborso maggiore in bolletta in nome della battaglia sui diritti umani contro Mosca”.
Ma la guerra energetica intorno all’opera è iniziata già nel 2011, quando Putin decise di realizzare questo nuovo canale che gli permettesse di trasportare il gas della Federazione in Europa evitando di utilizzare le vecchie infrastrutture che passano dall’Ucraina, Paese che, dopo la rivoluzione di piazza Maidan e la caduta di Viktor Janukovyč, si è staccato dall’orbita di Mosca. Così, oltre al Nord Stream, al Yamal-Europe e al Turk Stream, anch’esso ancora da ultimare, il Nord Stream 2 rappresenterebbe un nuovo canale di accesso all’Europa occidentale per il gas russo.
Ad opporsi all’opera sono i Paesi dell’Europa dell’est, come Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. I motivi sono diversi e spaziano dall’ambito economico a quello geopolitico. Innanzitutto, questi sono tra i principali importatori di gas russo, dal quale sono dipendenti per soddisfare il fabbisogno energetico del Paese. Un ulteriore fonte di approvvigionamento da Mosca renderebbe tutta l’area ancor più legata alle risorse di Putin, una sorta di monopolio che svantaggia economicamente i Paesi più dipendenti e li costringe ancor di più nell’orbita di influenza russa, allontanandoli ulteriormente dagli Stati Uniti. Inoltre, Paesi come la Polonia, dalla quale passa uno dei gasdotti, con una nuova fonte di approvvigionamento e la conseguente diminuzione dei quantitativi richiesti in Europa occidentale dai propri canali perderebbero anche i guadagni legati ai diritti di transito. “I Paesi dell’est, compresi anche i Baltici, hanno particolarmente a cuore il distaccamento dall’orbita russa – spiega l’analista – La stessa Polonia sono convinto che sarebbe disposta a rinunciare a una parte degli introiti che provengono dai diritti di transito pur di essere ancora meno dipendente da Mosca”.
Il tema crea frizioni anche tra membri di spicco della stessa Cdu, visto che la maggior parte dei candidati alla leadership del partito si sono detti contrari all’opera: “In Germania non esiste una ‘posizione di partito’ sulla Russia. Nella Repubblica Federale da sempre esistono fazioni pro-Mosca e anti-Mosca, in tutti i partiti, dovute soprattutto all’appetibilità economica del mercato russo. Questo vale anche per la Cdu, dove Angela Merkel ha quindi a che fare anche con l’ala che fa pressione per abbandonare il progetto”.
E soprattutto non è d’accordo l’altro grande attore internazionale: gli Stati Uniti di Donald Trump. Anche in questo caso, i motivi sono sia economici che strategici. Da una parte, Washington aspira a diventare un partner energetico sempre più importante per l’Europa, inviando il proprio shale gas per sopperire alle richieste dei vari Stati. Per questo, la questione Nord Stream 2 è oggetto di tensione da anni tra l’amministrazione Trump e il governo Merkel. Inoltre, la dipendenza dell’Ue dal gas russo mette a rischio l’influenza americana in alcuni Paesi chiave. Anche per questo, a dicembre 2019, il governo Usa ha imposto sanzioni contro tutte quelle aziende impegnate nella costruzione dell’opera. Azione che non ha scoraggiato Mosca, forte anche del fatto che il gasdotto, dicono, è stato realizzato per il 98% del totale e potrebbe entrare in funzione già dalla fine del 2020.
Anche le istituzioni europee, in passato, si sono dette contrarie all’opera, pur dovendo fare i conti con gli interessi del più importante membro dell’Ue, la Germania. Nel 2016, il Parlamento europeo ha approvato una dura risoluzione nella quale ha definito il progetto “una minaccia per la sicurezza europea”. Ma alle dichiarazioni ufficiali non è seguita una forte azione per tentare di bloccare l’avanzamento dei lavori.