Apparentemente, la riduzione del numero dei parlamentari la vogliono proprio tutti. Un anno fa l’ultima lettura alla Camera ha visto un plebiscito: tutte le forze politiche hanno votato a favore, a parte qualche deputato (meno di 15 su 630: hanno votato a favore il 97% dei deputati presenti che rappresentavano l’88% del totale) che si sono espressi in modo contrario a titolo personale. Sono 40 anni che proposte di riduzione sono presentate (tre commissioni bicamerali più innumerevoli voti favorevoli) e regolarmente insabbiate, perché non hanno completato l’iter.

Il numero di 945 parlamentari è stato fissato nei primi anni ‘60, in un momento in cui non c’erano la maggior parte dei parlamenti regionali. Ricordo che i numeri dei consiglieri regionali, che prendono stipendi solo di poco inferiori a quelli dei parlamentari nazionali, variano dai 20 di Abruzzo, Molise, Basilicata e Umbria agli 80 della Lombardia e in totale sono ben 884 (più i presidenti, in alcune regioni).

Tra l’altro, in alcuni consigli regionali ci sono benefit che i parlamentari si sognano, tipo la possibilità di assumere un autista personale in Calabria per buona parte dei membri. I prescelti sono anche consiglieri comunali e persino sindaci. Sessanta anni fa, se si fosse voluto contattare un proprio rappresentante, quello che si aveva a disposizione era o una lettera cartacea o scambiare due parole a un comizio. Oggi, ci sono strumenti allora inimmaginabili per connettere le persone. Ma se il mondo è totalmente cambiato, perché il numero dei parlamentari deve rimanere scolpito nella pietra?

C’è chi parla di riduzione della rappresentanza e di territori che sarebbero “penalizzati”. Chiedo a chi legge di rispondere a una semplice domanda: chi avete eletto alle ultime elezioni politiche? No, non voglio sapere quale partito avete votato, vorrei sapere proprio i nomi delle persone (se come probabile non lo ricordate, vedete qui) Potete stare certi che buona parte delle persone semplicemente non lo sa.

Le Parlamentarie del MoVimento avevano proprio lo scopo di permettere di “riconoscere” almeno chi sarebbe stato in lista e non far prendere questa decisione dalle segreterie di partito in una stanza chiusa, perché è al momento della compilazione delle liste che si decide di fatto la maggioranza dei nomi di chi sarà eletto.

Infine, va ricordato che i parlamentari, indipendentemente da dove sono stati eletti, rappresentano tutta la nazione, non il territorio da dove provengono. L’Abruzzo non avrà “solo” quattro senatori con la riforma. Ne avrà ben 200, ai quali si sommano i deputati e i 20 consiglieri regionali.

I risparmi veri sono quelli dell’efficienza, del taglio delle leggi inutili presentate solo per cercare un’effimera visibilità, ancor prima degli stipendi. La scorsa legislatura sono stati presentati qualcosa come 7400 progetti di legge, di cui solo 371 sono effettivamente diventati leggi, e di questi tre quarti erano di iniziativa governativa, non parlamentare. Ecco che ci sono state almeno 7000 leggi “inutili” perché non hanno portato a nulla, ma la loro produzione (ricerca delle fonti, scrittura, revisione degli uffici) è costata alla collettività non poco.

C’è chi ha studiato quale potrebbe essere un numero ottimale di parlamentari, e ha visto che l’Italia è un’anomalia nei Paesi più sviluppati. Ora con questo non voglio dire che hanno ragione gli altri Paesi e non l’Italia perché un numero “ideale” di parlamentari non lo ha calcolato nessuno, ma solo che l’Italia ha una situazione non comune. Avere troppo persone che fanno la stessa cosa non velocizza, ma rallenta il lavoro. Per la produzione di circa 400 leggi, 600 parlamentari sono più che sufficienti, anche se va precisato che il lavoro di deputati e senatori non è affatto solo presentare delle leggi.

La parte più surreale di quell’otto di ottobre 2019, il giorno dell’ultimo passaggio alla Camera, fu ascoltare le dichiarazioni di voto di molte forze politiche, nelle quali si criticava ferocemente la riduzione, e poi si annunciava il voto favorevole. Non è un mistero che chi ancora detiene sacche di potere nello stato, a partire da chi controlla l’informazione, veda la riduzione dei parlamentari come il fumo negli occhi. Come c’è chi dice “è un’idea del MoVimento 5 stelle e allora voto No a prescindere”. Con queste premesse, chi vorrebbe votare mai votare No?

C’è però un motivo che nessuno ammetterà mai, ma che è davvero quello principale per opporsi alla riduzione. Diventare un parlamentare (un onore immenso ma anche una responsabilità grandissima) è un’ambizione (legittima) di praticamente chiunque sia impegnato in politica. Ecco la ragione vera, quella che mai leggeremo sui giornali: la riduzione del numero dei parlamentari significa in realtà ridurre le possibilità personali di realizzare un sogno. Ridurre i privilegiati significa anche ripulire tutto un fitto sottobosco di relazioni che spesso nulla hanno a che vedere con il buon funzionamento della cosa pubblica, ma tanto con i vantaggi personali di alcuni.

Questo è quindi il motivo vero e reale. Se poi c’è chi si inventa spiegazioni traballanti (“il peso dei senatori a vita passerà dall’uno e mezzo al due e mezzo percento! Bisogna votare No!”), e soprattutto se questo qualcuno è un parlamentare, quindi in palese conflitto di interessi, non ci possiamo fare nulla. Si trova sempre un apparente buon motivo per farsi i fatti propri. Chi con il No vuole anteporre il proprio interesse a un’eventuale elezione (o rielezione) rispetto al bene della collettività non è però la persona più adatta a rappresentare i cittadini, perché per rappresentare gli altri serve l’altruismo, non l’egoismo!

Quello su cui i cittadini si dovranno esprimere sarà quindi un quesito semplice e soprattutto di cui gli effetti sono facilmente riconoscibili: ridurre il numero di parlamentari, senza toccare il resto della Costituzione. Si potranno sistemare delle criticità (per esempio regolamenti parlamentari) dopo, ma qualsiasi problema non sarebbe presumibilmente mai affrontato se prima non si affronta la riduzione. La scelta tra uno stato efficiente e i benefici di pochissimi è nelle nostre mani, anzi, nelle nostre matite.

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