“Quasi vent’anni dopo, l’11 settembre continua a fare vittime. E lo studio di quelle patologie potrebbe insegnarci qualcosa anche sul coronavirus”. A dirlo in un’intervista a Repubblica è Roberto Lucchini, il medico del lavoro che un decennio fa venne chiamato dall’Italia per dirigere all’ospedale Mount Sinai di New York il programma di cura per i reduci dell’attentato al World Trade Center.

“Il crollo delle Torri gemelle sollevò per lunghissimo tempo delle polveri tossiche con tanti elementi, fu un mix più complesso di Seveso (diossina), di Bhopal (cloruro di metile) e di Cernobyl o Fukushima (radiazioni) – spiega il professore -. Mezzo milione di abitanti del quartiere, più settanta-ottantamila tra soccorritori e operai edili furono costretti a ingerire quelle polveri, nell’intervento d’emergenza e poi nei lavori successivi. I danni continuano a rivelarsi a scoppio ritardato: patologie polmonari, tumori, leucemia, più lo stress post traumatico che può contribuire a suicidi e demenza senile. All’ospedale Mount Sinai seguiamo e curiamo cinquantamila pazienti, e il numero continua a crescere”.

La portata e le conseguenze che quelle inalazioni tossiche avrebbero avuto non furono comprese subito, “anche perché c’era una corrente negazionista, la voglia di minimizzare, magari per interessi economici. Oltre ai vigili del fuoco, al personale sanitario e ai poliziotti, c’erano imprese private coinvolte, con operai edili e muratori, quindi qualcuno preferiva sminuire i pericoli – prosegue Lucchini -. Il sindaco uscente Rudolph Giuliani era un negazionista, mentre il successore Michael Bloomberg ebbe l’approccio giusto. Solo con Barack Obama arrivarono fondi federali adeguati per assistere i malati. Eppure la gravità del pericolo si poteva percepire fin dall’inizio: ogni tanto riguardo un video girato da un fotoreporter l’11 settembre 2001; lo si sente tossire come se stesse morendo”.

E ora quelle inalazioni tossiche tornano d’attualità perché un recente studio ha fatto emergere come proprio tra i reduci dell’esposizione alle Torri gemelle, il contagio di coronavirus sia alto. “Purtroppo il loro apparato respiratorio già compromesso li rende più vulnerabili. Questo ci spinge a fare ricerche sulla vulnerabilità da esposizione ambientale. È un tema su cui stanno lavorando in tanti, cinesi inclusi. Il fatto che Brescia e Bergamo siano state colpite così duramente, può spiegarsi con preesistenti patologie da inquinamento ambientale? È una possibilità. È un quesito a cui cerchiamo di rispondere”, conclude.

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