Cinema

Mostra del Cinema di Venezia 2020, Nomadland manifesto poetico di vite basate sulla resilienza con il premio Oscar Frances McDormand

Ispirato dall’omonimo libro di Jessica Burden, l'opera nasce da sei mesi di vita nella wilderness americana attraverso 7 States con una troupe di 25 persone, pochi attori professionisti e diversi veri nomadi - denominati van-dwellers - nello spirito di perfetta integrazione e condivisione coerente al racconto stesso della pellicola

di Anna Maria Pasetti

“Il dono più grande dei nomadi è stato insegnarmi una grande umiltà”. Visibilmente commossa, Frances McDormand è fiera di aver portato in concorso alla Mostra di Venezia Nomadland, il film che ha appassionatamente voluto, prodotto e interpretato da protagonista sotto la regia della sino-americana Chloé Zhao. Per motivi di sicurezza ha preferito non accompagnare fisicamente al Lido il film, tra i favoriti al Leone d’Oro, ma via Zoom ha tenuto insieme alla regista una conferenza stampa dove, come è sua consuetudine, si è generosamente e vivacemente espressa.

Ispirato dall’omonimo libro di Jessica Burden, Nomadland nasce da sei mesi di vita nella wilderness americana attraverso 7 States con una troupe di 25 persone, pochi attori professionisti e diversi veri nomadi – denominati van-dwellers – nello spirito di perfetta integrazione e condivisione coerente al racconto stesso del film. “Da queste magnifiche persone, ciascuna delle quali ha messo a disposizione la propria vicenda personale, ho imparato a chiudere la bocca e ad ascoltare. Ricordandomi che l’ascolto è la parte principale di ogni attore professionista” spiega l’attrice premio Oscar per Tre manifesti a Ebbing che rileva qualche somiglianza tra quel personaggio e Fern, “entrambe working class americane, entrambe davanti a scelte difficili della vita, entrambe devono elaborare un lutto”. Se i nomadi di Nomadland sono frutto di una scelta di vita basata sulla resilienza e soprattutto sulla condivisone sostenibile “contro il dominio del dollaro”, essi sono anche vittime della “disperazione economica del mio Paese, e in ultima analisi del mondo intero, ma non ritengo che Chloé abbia fatto un film statement-politico, anzi”.

In effetti, il terzo lungometraggio di Zhao è più un manifesto poetico che non una denuncia sociale, laddove la riconnessione fisica e personale con lo spazio senza frontiere, il tempo senza scadenze e la memoria come serbatoio esistenziale diventano il paradigma per la costruzione di un presente e un futuro alternativi, nel segno di una sostenibilità a 360°. Il mantra di questi novelli pionieri è la distinzione di Home da House, definendosi Houseless e giammai Homeless, essendo il concetto di “sentirsi a casa” ben distinto dall’abitare dentro un edificio. Com’è concepito visivamente e narrativamente, Nomadland si pone nella tradizione del racconto classico americano on the road rintracciando i valori fondativi delle radici culturali a stelle&strisce: il Viaggio come Sogno e Scoperta, la Natura primigenia in cui convivono paesaggi sconfinati e piccole pietre colorate che sembrano opere lunari. Se lo spirito dell’America migliore invade le atmosfere del film, al suo centro è concentrato il viaggio personale di Fern (McDormand), una donna prematuramente vedova che abbandona la città di Empire dove risiedeva col marito e lavorava nella fabbrica ora fallita, e sceglie di avventurarsi nella sfida del nomadismo e dell’impiego stagionale, anche presso l’infernale realtà di Amazon “che comunque offre lavoro” commenta McDormand. Linguisticamente tradizionale e senza elaborazioni strutturali innovative, il testo di Zhao riesce con buona sensibilità a restituire verità e dignità ai suoi protagonisti. Dopo la corsa veneziana, che si concluderà domani sera con la celebrazione dei premiati, inevitabile sarà la sua presenza tra i candidati ai prossimi Oscar.

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