Con la conferma della condanna in Cassazione pure per Antonio Casamonica, si chiude la vicenda giudiziaria legata al raid punitivo avvenuto al Roxy bar in zona Romanina, a Roma, il giorno di Pasqua 2018. Il verdetto degli ermellini per due dei partecipanti, Alfredo ed Enrico Di Silvio (nipote e nonno appartenenti all’omonimo clan), era già arrivato nel luglio scorso, mentre Vincenzo Di Silvio non ha mai fatto ricorso alla Suprema Corte. Mancava solo il cugino Casamonica, già condannato in appello a 6 anni di reclusione per concorso in lesioni, violenza privata e minacce. Per tutti è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso.

I giudici della Quinta sezione della Cassazione hanno quindi rigettato il ricorso presentato dalla difesa di Casamonica, dopo che il pg nell’udienza di ieri ha chiesto che venisse dichiarato inammissibile. L’uomo è stato condannato per le violenze messe in atto contro il titolare del bar e una giovane disabile e dovrà quindi scontare 6 anni di carcere. Si tratta della pena più alta tra le persone coinvolte, dal momento che ad Alfredo Di Silvio sono stati imposti 4 anni e 10 mesi e al nonno Enrico 3 anni e 2 mesi. La ”pretesa di essere serviti prima degli altri avventori”, “la cieca, gratuita, selvaggia violenza con la quale si era inteso punire la donna (presa brutalmente a cinghiate, calci e schiaffeggiata) che aveva osato contraddirli”, così come “l’affermazione che in zona ‘comannavano’ loro” sono alcune delle motivazioni con cui i supremi giudici della Seconda sezione hanno reso definitive le pene per i Di Silvio.

L’episodio risale all’aprile 2018, quando il gruppo venne ripreso dalle telecamere di sorveglianza del Roxy bar durante l’aggressione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Antonio Casamonica e il cugino Alfredo Di Silvio sarebbero entrati nel locale con la pretesa di passare avanti ad altri clienti e avrebbero insultato il titolare, urlandogli “rumeno di merda”. In fila con loro c’era la donna disabile, picchiata per prima per aver risposto agli insulti dicendo loro che “se non apprezzavano il servizio potevano cambiare bar”. I due le strapparono e ruppero gli occhiali, poi la spinsero contro un muro, colpendola con ferocia, armati di una cintura, mentre lei implorava pietà e gli altri presenti non reagivano, pietrificati dal terrore. Prima di lasciare il locale altre urla contro la vittima: “Se chiami la polizia ti ammazziamo”. Dopo mezz’ora Alfredo Di Silvio tornò in compagnia del fratello Vincenzo: i due aggredirono a colpi di bottiglia il barista colpevole di non essersi occupato con solerzia di loro. Devastarono il bar, intimando al titolare di chiudere e gridando: “Qui comandiamo noi, fai quello che ti diciamo o ti ammazziamo!”.

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