di Pietro Garibaldi (fonte: lavoce.info)*
Il dispiegamento senza precedenti di risorse europee è l’occasione giusta per provare a colmare l’atavica distanza tra domanda e offerta di lavoro in Italia. Una proposta per potenziare davvero i centri per l’impiego e non sprecare un’occasione storica
Come investire le imponenti risorse dei Next Generation Eu Funds (NextGF) è una delle più importanti decisioni di politica economica che il governo dovrà assumere nelle prossime settimane, mesi e forse anni. Il paese non ha bisogno di investimenti poco significativi in ognuno dei suoi migliaia di comuni, ma di riforme per affrontare le sue grandi inefficienze.
Uno dei nodi strutturali dell’Italia riguarda la distanza tra domanda e offerta di lavoro. Secondo le stime dell’Ocse, l’Italia è caratterizzata dal più alto indice di mismatch, un indicatore che tiene conto della differenza (in termini di skill e competenze) tra le caratteristiche della domanda di lavoro di cui le imprese hanno bisogno e le caratteristiche dei lavoratori in cerca di lavoro. Provare a migliorare l’efficienza allocativa del mercato del lavoro sarebbe un utilizzo saggio dei fondi europei. L’occasione dei NextGF è unica. Abbiamo a disposizione più di 200 miliardi tra prestiti europei e sussidi. Non possiamo sprecarli.
La tenuta dell’occupazione durante la pandemia
Per capire la posta in gioco, facciamo un passo indietro. Dallo scoppio della pandemia, l’intervento nel mercato del lavoro ha avuto due iniziative principali: il divieto di licenziamento e l’estensione della cassa integrazione a tutte le imprese, indipendentemente dal settore di appartenenza e dalla sua dimensione. A distanza di un quadrimestre, possiamo dire che i risultati sono stati tutto sommato positivi. Nonostante un crollo del Pil previsto su base annua di quasi il 10 per cento, l’occupazione ha per ora tenuto. Il tasso di occupazione è diminuito di poco più di un punto percentuale, dal 59 al 57,7 percento secondo le stime Istat di luglio 2020. I risultati negativi sono relativi all’occupazione a termine e all’occupazione giovanile. I primi sono crollati di 500 mila unità in sei mesi, mentre l’occupazione giovanile è diminuita rispetto a giugno 2019 di 250 mila unità, pari al 6 percento su base annua. Come ben sappiamo, la maggior parte dei giovani entra nel mercato con un contratto a termine.
La grande sfida è quella di come dare un futuro ai giovani. Mario Draghi lo ha detto chiaramente al meeting di Rimini ad agosto. Ursula von der Leyen e l’Europa hanno intestato il primo debito europeo alla prossima generazione. In Italia la disoccupazione giovanile è ora vicina al 30 percento e il rapporto tra disoccupazione giovanile e disoccupazione totale è sopra 3, uno dei valori più alti in Europa. Inoltre, i tempi medi della transizione scuola-lavoro sono tra i più lunghi del continente. Non deve quindi sorprendere che l’indice di mismatch italiano sia tra i peggiori dell’Ocse.
I centri per l’impiego oggi
I NextGF devono essere destinati a grandi riforme strutturali che, ove necessario, possono richiedere spesa pubblica nel breve periodo. Una priorità assoluta dovrebbe essere quella di dare un ruolo preciso ai centri per l’impiego. Oggi quasi nessuno sa cosa siano, dove siano e a cosa servano. A Torino e Milano ve ne sono solo soltanto due. Oltre a essere pochi, i centri oggi hanno anche poche risorse. Una recente analisi dell’Anpal, documentata da lavoce.info, mostra che le risorse umane sono poco qualificate (solo il 20 percento degli addetti è laureato) e con scarse dotazioni infrastrutturali (un addetto su cinque sostiene di avere un hardware a software inadeguato).
Fortunatamente il problema è ben conosciuto dalla politica economica. Nel piano strutturale di riforme del 2019 sono previste 11.600 assunzioni per 1,2 miliardi. L’esperienza controversa dei navigator non deve scoraggiare a far sì che lo stato faciliti l’incontro tra domanda e offerta. Nel caso dei navigator e del reddito da cittadinanza, il vero fallimento è stato confondere e mischiare l’assistenza alla povertà con la ricerca di un lavoro adeguato.
Centri per l’impiego in ogni quartiere: come l’ufficio postale
Se utilizziamo bene i NextGF, i centri per l’impiego possono diventare come gli uffici postali: un ufficio in ogni quartiere che tutti sanno dove sia e a cosa serva. L’ufficio postale non è un luogo divertente, ma un posto necessario per accedere a un grande network. I centri per l’impiego dovranno essere il luogo principe per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Qualunque disoccupato frequenterà il centro non solo per essere profilato, formato quando necessario e disposto a testimoniare la sua disponibilità a lavorare. Entrerà nei centri soprattutto perché in quei luoghi e in quegli edifici troverà le informazioni sui posti vacanti adatti alle sue competenze. Al tempo stesso, ogni impresa dovrà contattare i futuri centri dell’impiego perché convinta di trovare il giusto lavoratore.
Serve creare un grande network digitale
Sia chiaro, un intervento di questo tipo richiede non solo edifici e personale qualificato, ma soprattutto un investimento infrastrutturale in creazione di database. Per quest’ultimo investimento è necessario un grande coordinamento tra regioni: è forse questa la vera difficoltà burocratica. Oggi i centri per l’impiego sono gestiti dalle singole regioni, e ciascuna regione tende ad avere il proprio database. Per aiutare la mobilità, la base di dati deve essere unica per il paese.
Idealmente, una volta creata la rete, alla base dati potrebbero poi accedervi anche gli operatori privati. L’esperienza positiva di Germania e Giappone – due paesi con forti e capillari centri per l’impiego e scarsi problemi di disoccupazione giovanile – suggerisce che la strada è giusta.
L’occasione che abbiamo è unica. Possiamo investire per risolvere uno dei problemi strutturali del mercato del lavoro. Non sfruttarla sarebbe non solo un peccato veniale, ma quasi mortale.
*Professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Torino, direttore del Collegio Carlo Alberto e responsabile degli studi sul lavoro della Fondazione Debenedetti. E’ consigliere di sorveglianza e membro del comitato di controllo di Intesa SanPaolo. E’ stato Consigliere economico del Ministro dell’Economia e della Finanze nel 2004 e 2005, e consulente in materia di lavoro per il Dipartimento del Tesoro. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la London School of Economics nel 1996. Dal 1996 al 1999 ha lavorato come economista nel dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ed è stato professore associato presso l’Università Bocconi dal 2000 al 2004.