“Poiché il valore che abbiamo cercato di affermare durante questa crisi è la coerenza, non c’è dubbio alcuno che voteremo per la riduzione dei parlamentari. Ma il problema non è tanto la riduzione, il problema è il Parlamento” e il suo ruolo attuale. Parlava così un anno fa ad Atreju, l’annuale evento di Fratelli d’Italia, l’uomo forte della Lega Giancarlo Giorgetti. Poche settimane dopo (l’8 ottobre), stando ai dati di Openparlamento, avrebbe dato l’ultimo via libera al taglio degli eletti insieme ai suoi colleghi del Carroccio e alla quasi totalità di Montecitorio. Ma ora che il referendum è alle porte Giorgetti ha cambiato idea. “Non so cosa voterete voi, ma posso dirvi come voterò io. Voterò no, convintamente“, ha dichiarato durante un incontro elettorale nel milanese. “Un semplice taglio dei parlamentari in assenza di altre riforme è improponibile“, ha spiegato alla platea di Vittuone, come riporta ticinonotizie.it.

Poi è passato ad elencare le motivazioni che, a distanza di un anno da quel voto favorevole in Aula, lo hanno spinto a schierarsi per il No. “Il sistema maggioritario, visto che si parla tanto di Europa, ha sempre funzionato benissimo”, chiarisce, riferendosi al sistema elettorale proporzionale a cui la maggioranza sta lavorando in parallelo alla riduzione degli eletti. Due nodi che in realtà sono separati (il taglio non implica necessariamente un abbandono del maggioritario), oltre al fatto che molti dei principali Paesi Ue sono dotati proprio di un sistema proporzionale. Eccetto la Francia, è così in Spagna e Germania, oltre che al Parlamento europeo.

Il braccio destro di Salvini aggiunge inoltre che “tagliare del 40% i parlamentari darebbe un potere senza limite alle segreterie di partito, limitando di parecchio la volontà popolare. È una deriva da evitare con forza”. Anche in questo caso è la legge elettorale a fare la differenza: è stato proprio il Porcellum ideato dal leghista Calderoli ad eliminare le preferenze, poi reintrodotte dalla Corte costituzionale a fine 2013. Un anno fa sempre Giorgetti, alla vigilia dell’ultima lettura alla Camera, minimizzava sull’importanza intrinseca del numero dei parlamentari. “Possono essercene 600, 500, 400, 300”, disse ad Atreju, sottolineando invece la necessità di concentrarsi su altre riforme. “Sicuramente non ha senso mantenere il bicameralismo. Le due Camere oggi servono perché quando un’Aula sbaglia, l’altra interviene per correggere le norme”, spiegò alla platea dei sostenitori di Giorgia Meloni. Concetto ribadito più volte nel corso della sua (lunga) carriera da parlamentare.

Nella primavera del 2013 Giorgetti fu scelto dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano come membro del comitato di Dieci saggi incaricato di lavorare a un programma di riforme istituzionali per poi approvarlo a maggioranza bipartisan dopo l’entrata in carica del nuovo governo. Nel documento finale uno dei punti riguardava proprio il numero dei seggi in Parlamento e si prevedeva, insieme al superamento del bicameralismo paritario, di portare i deputati a 480 e i senatori a quota 120. Poche settimane dopo una delegazione della Lega incontrò i neoministri del governo Letta Dario Franceschini e Gaetano Quagliariello. Ne facevano parte Massimo Bitonci, l’ex ministro Calderoli e lo stesso Giorgetti. Il loro obiettivo era quello di trovare una mediazione con l’esecutivo sul contenuto delle riforme da incardinare in aula. Bitonci si fece portavoce del gruppo e spiegò alla stampa che le priorità del Carroccio erano la nascita di un ”Senato federale”, con insieme anche una ”riduzione netta del numero dei parlamentari”.

In realtà non serve andare così indietro nel tempo per trovare sue dichiarazioni favorevoli al taglio. Nell’agosto 2018, poco dopo la nascita del primo governo Conte sostenuto da Lega e Movimento 5 stelle, l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio suggerì alla maggioranza di mettersi in gioco con le riforme costituzionali. “Purtroppo” non sono nel contratto di governo, disse. Tuttavia, l’elezione diretta del presidente della Repubblica, il taglio dei parlamentari e l’eliminazione di una Camera sono necessarie: “Altrimenti si butta via anche il Parlamento”.

Questioni di merito a parte, l’ultimo tema toccato da Giorgetti nel corso del suo intervento a Vittuone riguarda gli scenari politici che potrebbero aprirsi in caso di vittoria del No al referendum. Votare Sì, spiega, “sarebbe un favore a un governo in difficoltà, incapace di gestire il contraccolpo economico al sistema Italia di questi mesi e in evidente imbarazzo in vista dei prossimi mesi, che saranno durissimi. Il governo Conte è inadeguato. Ed è anche per questo che voterò ‘no'”. Un anno fa, quando il nuovo esecutivo targato Pd-M5s era nato e Giorgetti si trovava già all’opposizione, le cose andarono diversamente.

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