“C’è un po’ di vento, abbaia la campagna”. Paolo Conte, il genio. Ironico, romantico, capace di fulminarti con tre, quattro parole e gettarti dentro “un atlante immaginario dell’anima”. Dell’avvocato astigiano s’è forse speso troppo poco entusiasmo nel raccontarlo all’interno della stupefacente vita della musica italiana. Schivo e riservato lui, quasi intimoriti i profani ad avvicinarsi al maestro anche solo per chiedere di quelle “perline colorate” che sono dono d’amore in Gelato al limon e che ci stanno in testa da almeno trent’anni dal primo ascolto. Paolo Conte, via con me di Giorgio Verdelli, documentario Fuori Concorso in chiusura di Venezia 77, è un po’ gioia per l’anima e un po’ occasione mancata per la storia. Al centro un’intervista recentissima ed esclusiva a Conte nel suo studio casalingo e tutt’attorno le testimonianze blasonate (Benigni, Avati, Capossela, De Gregori, Luca Zingaretti e Luisa Ranieri – aiuto!-) a supportare la tesi del grande valore del nostro, infine un ulteriore architrave musicale con i live del maestro mixati in un curioso passaggio di consegne in montaggio con l’esecuzione dello stesso brano in due-tre concerti differenti nel tempo
. Tanto materiale assemblato, cronologicamente spettacolo d’“arte varia”, aneddoti più o meno conosciuti, e Conte che con “quella faccia un po’ così” mescola Settimana Enigmistica, smorfie e zazzarazaz. Certo, se Benigni sembra aver scritto e preparato il suo intervento fronte macchina recitandolo pomposamente come a teatro, Avati sciorina il suo solito marchio di fabbrica – “invidia per” – perché Conte era troppo bravo a fare jazz, mentre De Gregori appare stranamente solare e illuminato nel ricordo di quel Gelato al limon cantato con Lucio Dalla in Banana Republic e dell’incontro, tipo sfida all’O.K.Corral, con Conte in una strada di Roma dopo l’eretica esecuzione (per la cronaca: le versioni dell’incontro romano sono leggermente diverse tra i due).
Tira un testimone di qua, tira un testimone di là, comunque la grandiosità extraterritoriale di Conte emerge con un fascino e una costanza brumosa, autunnale, “voce buffa e cuore straziato” (Isabella Rossellini, nel doc), soprattutto in quella Francia parigina che consacrò i grandi mondiali. Fu tra l’altro Pierre Desproges, un grandissimo e popolare umorista francese che all’inizio degli anni ottanta usò un brano di Conte, Come di, come sigla di uno suo seguitissimo programma radiofonico, e fece fare il salto al musicista italiano in tutta la Francia. Affermazione che Jane Birkin riassume con un sensualissimo trasporto: “Paolo esprime intelligenza”. Insomma, Paolo Conte, via con me è un semplificato prodotto edibile per fan e semi fan, senza voler ricamare il documentario artistico, ma rimanendo nell’orbita paratelevisiva, con alcuni svolazzi imbarazzanti (la Topolino Amaranto che gira per Asti nei giorni nostri è una roba che fa paura). Ai ritratti entusiasti e sinceri sui grandi della musica italiana creati da Verdelli siamo comunque abituati. Occhio non vede, cuore non duole. Viva Paolo Conte. Producono Nexo Digital, la Indigo di Nicola Giuliano e Rai Cinema. Nei cinema lunedì 28 settembre.