Da Andreotti ai Bossi, da Micciché fino all'ex procuratore di Catania. Le cronache di Prima e Seconda Repubblica sono piene di vicende in cui il conducente dell'auto blu è il custode o il traditore dei segreti di onorevoli, magistrati e alti funzionari dello Stato. A volte fonte di imbarazzo, altre teste chiave in tribunale
“Mi devi salvare, senza autista muoio!”. Lo diceva a un imprenditore il consigliere della Corte dei Conti (sic!) Antonello Colosimo, intercettato dai carabinieri che istruivano l’indagine per gli appalti del G8, da cui verrà poi scagionato. La frase resta agli atti, emblematica del rapporto che lega la categoria degli autisti a quelle dei politici, notabili di Stato, funzionari e amministratori di rango. Un rapporto che a volte finisce in tribunale, a volte sul giornale o dritto in campagna elettorale, come è appena capitato a Vincenzo De Luca, finito nei guai per la vicenda dei vigili “elevati” a membri dello staff e delle relazioni istituzionali in Regione con tanto di aumento.
Senza che costituisca un’attenuante, si può ben dire che la storia italiana – dalla Prima alla Seconda Repubblica – è piena di aneddoti con protagonisti anonimi traghettatori dei potenti. Perché gli autisti sono accessorio indispensabile all’auto blu, che è poi il benefit irrinunciabile di ogni politico o alto papavero che si rispetti. Alcuni sono stati veri e propri custodi di segreti rimasti al chiuso di un’abitacolo, altri li hanno invece rivelati, molti hanno dovuto sfilare in tribunale. Tanti sono rimasti testimoni passivi di malefatte d’ogni tipo.
DAL PROCURATORE ALL’ONOREVOLE – Tra i casi recenti, sul fronte giudiziario, c’è quello dell’ex procuratore di Trani e Taranto Carlo Maria Capristo e del suo autista arrestati lo scorso maggio con l’accusa di aver fatto indebite pressioni su colleghi magistrati e di truffa aggravata e falso. Secondo l’accusa, l’agente della Polizia di Stato anziché lavorare in Procura o per il suo ufficio, se ne andava in giro – tra Andria, Giovinazzo, Bari – a farsi gli affari suoi o a sbrigare con la presunta complicità di Capristo chiamato a rispondere di aver firmato gli statini di servizio dell’agente. La prima udienza dibattimentale sarà il 12 ottobre. Per Gianfranco Micciché, all’epoca sottosegretario e oggi presidente dell’Ars, motivo di imbarazzo fu invece una busta contenente cocaina trovata nel 2013 nella macchina del suo autista. C’era scritto: “On. Micciché”. Cose che capitano, ma ne sono capitate di peggiori.
ANDREOTTI, LIMA E I SALVO. E B. – Tra le storie tribunalizie del passato ce ne sono alcune in cui iproprio l’autista assurge a “teste” che può condizionare la giustizia. Processo Andreotti, anno 1997. L’ex autista di Salvo Lima Francesco Filippazzo diventa il “superteste” che sbugiarda il senatore sulla conoscenza dei cugini Salvo, conoscenza dai lui sempre negata. Durante il processo poi smentì se stesso, accusò i magistrati di avergli fatto firmare verbali ‘contraffatti”, vicenda per cui un anno dopo dovette patteggiare una condanna a 1 anno e 4 mesi per calunnia e falsa testimonianza. Autista, mestiere pericoloso. Lo sapeva bene Silvio Berlusconi che per la sua scorta fece fuoco e fiamme: voleva uomini di sua assoluta fiducia e infatti riuscì – di fatto con una norma ad hoc – a inserire per la prima volta tra i mansionati dal Viminale non carabinieri e pubblici ufficiali (che hanno vinto un concorso) ma uomini che arrivavano dalla vigilanza e sicurezza privata di Fininvest e dalla Standa. Ma lo sapeva anche il suo nemico-amico Umberto Bossi e la Lega tutta, che in fatto di autisti aveva una lunga tradizione.
LA SAGA DEI BOSSI – Due i conducenti di fiducia del Senatùr sulla linea Roma-Milano, gente ruvida calata dal Nord. Curricula senza altre luci, si ritrovarono entrambi candidati nelle liste per Palazzo Marino. Pino Babbini Bossi voleva candidarlo addirittura al Senato. E chi dimentica quello di Renzo Bossi? Alessandro Marlello più che un autista era un agente di cambio: doveva ritirare a suo nome i soldi del partito, ma anziché spesare le sue trasferte finivano a pagare gli stravizi del Trota. Lo denunciò in vari video, di lui si sono perse le tracce.
TUTTA “BRAVA GENTE” – Per chi sta a un metro dal potere il tempo e il giudizio a volte possono fermarsi. Nel 1997 la tv tedesca riuscì a stanare nel centro di Monaco la coppia di domestici particolari e autisti di Hitler ed Eva Braun nella residenza estiva sull’Obersalzberg, sulle Alpi bavaresi, ormai anzianissimi. L’intervista ai due custodi dei segreti della coppia destò scalpore. La Storia si era fermata al 1944. Per loro il Fuehrer era sempre il ‘capo’ e la padrona affettuosamente la loro ‘Eva’. “Erano persone per bene e generose”. All’epoca dell’intervista ricevano dal governo una pensione da 4 milioni di lire al mese. La meta preferita per le vacanze era l’Italia, paradiso in terra per gli autisti dei potenti.