Grazie a settantuno senatori, prevalentemente di Lega e Forza Italia, si tiene questo referendum. E dobbiamo ringraziarli veramente, perché se avessimo aspettato il popolo italiano campa cavallo! I Radicali infatti avevano promosso la regolare raccolta di firme che doveva giungere – secondo la Costituzione – a un minimo di 500mila. Alla fine ottennero la miseria di 669 sottoscrizioni. Grande buco nell’acqua.

Perciò si mossero, per puro spirito democratico, coloro che avevano votato Sì pur preferendo il No. Vogliamo dirla tutta? Tappandosi naso e bocca, avevano votato Sì al taglio dei parlamentari, giurando però che avrebbero reso pan per focaccia a sé stessi: avrebbero indetto cioè il referendum e, bum, al momento opportuno avrebbero votato No.

Così quando la Camera diede il via libera definitivo, furono 553 i Sì (M5S, Pd, Italia Viva, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega) e solo 14 i No (2 astenuti). Quasi l’unanimità.

Ma per la regola del non detto, molti Sì di allora erano attesi allo scrutinio dell’anima. Così, l’ultimo dei Sì che poi è divenuto l’ultimo (o il penultimo) dei No, cioè il leghista Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che con il Sì si aiuterebbe il governo. Perciò, ora che è all’opposizione, vota No.

Siamo in presenza, nella storia referendaria d’Italia, del primo quesito ad assetto variabile, in cui la risposta (Sì, No) si adegua e si aggiorna quotidianamente e ciascuno, interna corporis, si propone, nello scenario avvincente del cambio di cavallo, di capovolgere la propria posizione.

Non esiste, ma dovrebbe viste le circostanze, la possibilità di barrare una terza casella: il Forse o il Dipende. Chi vota Sì, chi vota No, chi vota Forse (o anche il più problematico Dipende). Essendo il Paese dei Signor Forse non ci sarebbe storia e vinceremmo finalmente tutti.

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