di Davide Trotta
“Ci sarebbe di là Aronne Piperno l’ebanista e sarebbe giusto pagarlo”. “Sarebbe giusto dici? E allora facciamo giustizia”. Le celebri battute de Il marchese del Grillo possiamo dire che, loro sì, rendano veramente giustizia ai numerosi Aronni Piperni d’Italia, rimasti in questi giorni vittime del conto dei punteggi mal saldato dalla Ministra dell’Istruzione. A rendere ancor più monicelliana la scena è la circolare emanata dagli Uffici scolastici che perentoriamente sentenziano l’impossibilità di apportare integrazioni o rettifiche alla graduatoria, in quanto definitiva.
I consacrati docenti ebanisti tuttavia, a differenza di Aronne, non possono confidare nella proverbiale scherzosità del Marchese, in quanto la nostra Ministra fa sempre sul serio. E pensare che a squilli di tromba le Gps erano state annunciate come la penicillina della Scuola italiana. Una differenza dirimente però si profila tra il Marchese e la Ministra: ad Aronne che, nel tentativo di portare a casa capra e cavoli, propone al marchese uno “sconticino” questo ribatte che “il Marchese paga o non paga” e quella evidentemente doveva essere la volta no. Per contro ai docenti Piperni il conticino viene pagato male e ridotto all’osso, in alcuni casi compare persino il saldo negativo (come il -12 di un docente palermitano), il che lascia trapelare l’accennata differenza: il Marchese commette un’ingiustizia consapevole – certo poi rimediata – dettata da un principio, sia pur iniquo; la Ministra commette un’ingiustizia inconsapevole – se rimediabile, ancora non si sa – derivata da procedure farraginose.
Sorte beffarda: dopo mesi di didattica a distanza passati a spremere competenze digitali ai docenti, ecco il ministero ruzzolare su una colossale patacca informatica. Avvitandosi a spirale la questione finisce per toccare l’utenza che dovrà attendere un’inevitabile pletora di ricorsi, in barba alla predicata urgenza con cui si doveva garantire agli studenti un servizio efficiente e di qualità.
La necessità di un pronto ritorno a scuola, confortata dal fatto che l’epidemia pare aver perso l’asprezza dei tempi peggiori, stride con le mancate convocazioni dei docenti in presenza per l’assegnazione della cattedra, con buona pace di una trasparenza ormai consolidata in queste operazioni. Se l’obiettivo delle Gps era alleggerire il lavoro delle scuole, in compenso con questa caterva di errori a essere gravato a dismisura sarà il lavoro degli Uffici scolastici.
Sperimentare una procedura così nuova in un momento così cruciale non era priorità assoluta, a meno che la Ministra volesse legare il proprio nome a un’invenzione epica, che di epico a oggi riporta soltanto danni causati nell’immediato a docenti e uffici, a breve all’utenza. In ogni caso tale disgrazia ben fotografa la situazione italiana, in cui il problema non sta tanto nelle frequenti ingiustizie sociali quanto piuttosto nella carenza di competenze in chi ricopre ruoli di rilievo. Carenza che può avere quale conseguenza, appunto, ingiustizie, certo né previste né volute.
Il problema dell’ingiustizia, al di là delle singole vittime, è il rischio di minare equilibrio e ordine sociali, insomma di generare ingiustizie sempre più grandi, che a mo’ di boomerang possono pure ritorcersi contro chi le ha provocate per rabbia o necessità di chi le ha subite. Un esempio su tutti: esorbitante pressione fiscale imposta dallo Stato alle imprese e conseguente evasione da capogiro (assolutamente da condannare), di cui siamo noto modello mondiale.
Se in qualsiasi ambito l’ingiustizia non fa bene né a chi la fa né a chi la riceve, a maggior ragione può essere pericoloso commetterla nel “regno” dove milioni di lavoratori sono chiamati a trasmettere il rispetto per l’altro e a marcare la temibilissima nota sul registro allo studente che picchia il compagno o ruba il pennarello al vicino o pubblica sui social foto compromettenti dello studente bullizzato della situazione.
Il rischio più quotato, al di là dell’immagine offuscata dell’Istituzione scolastica, è di presentare quest’ultima anche all’utenza come un mondo in cui la favola della Scuola come isoletta felice e soprattutto giusta per i loro figli non regge più: e come potrebbe reggere, una volta che questa utenza ha saputo che persino gli autori della lezioncina tanto invocata di “Cittadinanza e Costituzione” hanno conosciuto sulla propria pelle i segni di quei diritti un poco logori?
Non è un caso che nel 2018 l’Ocse abbia registrato in un suo rapporto che “il sistema scolastico italiano è ingiusto: egualitario sulla carta ma nei fatti non rimedia le differenze legate al contesto familiare e sociale, anzi le rinforza”. La scuola pertanto, abdicando al suo ruolo tra gli altri anche di ascensore sociale capace di garantire pure ai figli delle famiglie meno abbienti la possibilità di un riscatto sociale, rischia di rimanere impigliata in una rete di retorica buonista e proclami trionfalistici. Inoltre la struttura scolastica orientata in senso gerarchico con dirigenti rinvigoriti da super poteri – non di rado pronti a sbizzarrirsi – a mo’ di eroi dei fumetti, in fin dei conti, prefigura agli studenti quello che avviene in ambienti di lavoro sempre più dispotici e modellati su cieca obbedienza in nome del trionfo aziendale.
Per ora prendiamoci il nostro “conticino” e torniamo a casa, sperando che magari anche questo sia uno scherzo.