Dopo lo stop a uno dei vaccini più promettenti, quello tra Oxford-AstraZeneca, facciamo il punto della situazione sulle sperimentazioni volte a trovare una cura efficace contro il Covid-19: dagli antivirali agli anticorporali, passando per gli antinfiammatori
La ricerca, come mai prima, ha impresso una compressione alla storia delle sperimentazioni per trovare trattamenti sicuri ed efficaci. Team di scienziati in tutto il mondo ne stanno testando più di 300 in sperimentazione simultanea, a cui si aggiungono oltre 241 tipi di vaccini (di cui solamente sette sono in Fase 3, la fase di “ampia” sperimentazione sull’uomo). Dopo lo stop temporaneo di uno dei vaccini più promettenti, quello nato dalla collaborazione tra Oxford-AstraZeneca-Irbm (di Pomezia), a seguito di una risposta avversa in un paziente, tentiamo di capire quali siano le alternative in corso d’opera. Oltre i vaccini, quindi, le tre macro-aree di studio riguardano: antivirali, farmaci antinfiammatori e trattamenti con anticorpi.
I FARMACI ANTIVIRALI – Agiscono prevenendo la replicazione di un virus all’interno del corpo umano. Molto raramente un antivirale creato per un virus funziona anche per diversi virus. Ma è successo, ad esempio, che alcuni farmaci per l’HIV si siano anche dimostrati efficaci contro l’epatite B. Potrebbero volerci anni per scoprire un farmaco specifico. Nel frattempo, i ricercatori sperano che alcuni antivirali esistenti, già sul mercato o sperimentali, possano avere qualche effetto utile contro il nuovo coronavirus. Questi includono:
– Remdesivir, è il primo antivirale approvato dall’EMA (Agenzia europea dei farmaci), il 25 giugno, per il trattamento contro il Covid-19. Nell’ultimo scorcio di agosto è apparsa una pubblicazione scientifica su JAMA (Journal of the American Medical Association) condotta su una coorte di 584 pazienti con Covid moderato, in cui si conclude che il trattamento con il farmaco non ha mostrato una differenza statisticamente significativa nello stato clinico rispetto al gruppo che ha ricevuto l’assistenza standard (che non prevedeva Remdesivir). Lo studio è nato dalla collaborazione di varie università, da quella di Monaco al San Raffaele di Milano, da Harvard al King’s college di Londra.
– Lopinavir-Ritonavir, una combinazione di antivirali usati per trattare l’HIV. Nelle prime fasi dell’epidemia l’uso off-label di Lopinavir-Ritonavir è stato consentito, sulla base dei dati preliminari disponibili, ma dal 17 luglio, l’AIFA decide la sospensione dell’autorizzazione all’utilizzo off-label del farmaco al di fuori degli studi clinici, stessa sorte per Darunavir-Cobicistat (prima consentiti in alternativa a Lopinavir-Ritonavir).
– Clorochina e idrossiclorochina, farmaci usati per trattare la malaria e le condizioni reumatologiche. Vari studi hanno fornito alcune indicazioni di un possibile beneficio antivirale contro il Covid-19: in totale sono stati pubblicati 88 studi a livello internazionale (di questi 51 sono peer reviewed, di ottimo livello). All’interno del monte totale degli studi (88) ce ne sono 64 in cui si registrano effetti positivi, mentre 24 hanno dato risultati negativi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e le maggiori agenzie dei farmaci internazionali – tra cui AIFA – hanno messo in guardia su potenziali effetti negativi, e hanno bloccato l’uso farmaco, in Italia, dal 25 maggio. Mentre, la Cina ha recentemente aggiornato le sue linee guida sanitarie contro il Covid, inserendo la Clorochina (ma non l’idrossiclorochina, farmaco analogo, l’unica differenza è un atomo di ossigeno) tra i farmaci raccomandati, ed escludendo il Remdesivir. In questo momento Cina ed Europa hanno due strategie farmacologiche distanti. L’efficacia di questo farmaco è ancora in studio – anche in Italia ci sono due trial in corso, PROTECT in Emilia, e HYDRO STOP nelle Marche – ed è tutt’altro che chiara: sono necessari studi clinici su larga scala per dare una risposta definitiva.
I FARMACI ANTINFIAMMATORI – Agiscono “calmierando” il sistema immunitario. Nelle persone con Covid-19 grave, l’abnorme risposta difensiva del nostro corpo nel tentativo di combattere il virus può causare gravi danni e persino la morte, con quella che viene definita “cytokine storm”, ovvero una tempesta di citochine infiammatore. In tal senso, gli antinfiammatori possono ridurre questa risposta. In Italia si usa principalmente un antinfiammatorio:
– Desametasone, è un tipo di steroide utilizzato per ridurre l’infiammazione in una molteplice serie di casi. Questo è un farmaco di supporto contro le polmoniti interstiziali sia da Covid-19 che da pneumocystis, o influenza, si usa da sempre in questi casi. Non è quindi una vera novità, nelle corsie degli ospedali italiani è stato usato fin dalle prime fasi dell’emergenza, proprio per trattare l’interstizio ingolfato dalla abnorme risposta immunitaria. Il farmaco si è dimostrato efficace nel ridurre il tasso di mortalità nei pazienti ospedalizzati.
I TRATTAMENTI ANTICORPORALI – A differenza degli antivirali e dei farmaci antinfiammatori, gli anticorpi sono prodotti naturalmente da persone che hanno avuto un’infezione e sono guarite. Quando somministrati a pazienti che stanno combattendo un’infezione, gli anticorpi possono aumentare la loro risposta immunitaria e impedire al virus di causare ulteriori danni. Esistono due modi per utilizzare gli anticorpi:
– Il plasma iperimmune, che può essere estratto dal sangue dei sopravvissuti al Covid-19 e iniettato nei pazienti che stanno combattendo la malattia. Il 23 agosto, la FDA (Food and Drug Administration) dopo avere analizzato i dati di oltre 70mila pazienti infusi con il plasma dei convalescenti ne ha approvato l’uso, “emergency authotization”, in tutti gli Stati Uniti. Questa autorizzazione permetterà quindi a ogni cittadino americano di avere a disposizione immediatamente questa terapia (in modo gratuito) in ogni ospedale americano al momento del ricovero in ospedale, per infezione severa da Covid-19 (con difficoltà respiratoria). In Italia, si può essere trattati con il plasma solo nella forma dell’uso “compassionevole”, previa autorizzazione del comitato etico dell’ospedale. Quindi non è una prassi standardizzata. AIFA ha autorizzato – il 18 maggio – uno studio nazionale chiamato TSUNAMI, ancora in corso, proprio per valutarne l’efficacia del trattamento in modo definitivo.
– Gli anticorpi “monoclonali” sono anticorpi specifici per Covid-19. Al contrario del plasma iperimmune non provengono dalla “trasfusione” di plasma di altri pazienti, perché sono prodotti in laboratorio, e inoltre, essendo “mono-clonali”, utilizzano un solo tipo di anticorpo (la difficoltà è proprio nel selezionare quello giusto) ultraspecifico che attacca solo Sars-CoV2. Dopo essere stato individuato, viene duplicato in gran quantità e iniettato nei pazienti. Cosa ben diversa avviene nel plasma iperimmune dove si possono trovare, nella sacca di plasma trasfuso, anche 4mila tipi diversi di anticorpi (detti “policlonali”). L’Italia è il Paese leader in questo campo, e a novembre potrebbe iniziare la sperimentazione sull’uomo, in uno dei laboratori senese, il Mad Lab – Monoclonal Antibody Discovery -, della fondazione Toscana Live Sciences, che lavora in collaborazione con INMI Spallanzani.
OLTRE I TRATTAMENTI BASE: ENOXAPARINA – In aggiunta ai trattamenti standard, si affiancano le eparine a basso peso molecolare (EBPM), AIFA conclude che “potrebbero determinare un vantaggio in termini di sopravvivenza”. Sono utilizzate nella profilassi del tromboembolismo venoso post chirurgico e del tromboembolismo venoso in pazienti non chirurgici. Se ne consiglia l’uso nella fase iniziale della malattia Covid-19 quando è presente una polmonite e si determina una ipomobilità del paziente con allettamento. In questa fase l’EBPM dovrà essere utilizzata, a dose profilattica, allo scopo di prevenire il tromboembolismo venoso. Mentre, nella fase più avanzata, in pazienti ricoverati, per contenere i fenomeni trombotici a partenza dal circolo polmonare come conseguenza dell’iperinfiammazione.
CHE FINE HA FATTO L’AZITROMICINA? – Si tratta di un antibiotico della famiglia dei macrolidi, autorizzato per il trattamento di infezioni delle alte e basse vie respiratorie. È stata al centro del dibattito perché spesso associata all’idrossiclorochina, ma oggi le linee di indirizzo AIFA – aggiornate al 5 maggio – per l’uso terapeutico sono chiare: la mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia nel trattamento di pazienti Covid-19 non consente di raccomandare l’utilizzo dell’azitromicina, da sola o associata ad altri farmaci, al di fuori di eventuali sovrapposizioni batteriche (per le quali è invece prevista). L’uso dell’azitromicina per indicazioni diverse da quelle registrate può essere considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici randomizzati. Gli usi non previsti dalle indicazioni autorizzate e non raccomandati, restano una responsabilità del prescrittore e non sono a carico del SSN.
E IL TOCILIZUMAB? – Si è molto dibattuto sul tocilizumab, utilizzato per la prima volta dai medici di Napoli con iniziali confortanti effetti e che poi è scomparso dall’orizzonte. Cosa è successo? Si è concluso anticipatamente, dopo l’arruolamento di 126 pazienti (un terzo della casistica prevista), lo studio randomizzato per valutare l’efficacia del tocilizumab, somministrato in fase precoce, nei confronti della terapia standard in pazienti affetti da polmonite da Covid-19 di recente insorgenza che richiedevano assistenza ospedaliera, ma non procedure di ventilazione meccanica invasiva o semi-invasiva. Lo studio è stato promosso dall’Azienda Unità Sanitaria Locale-IRCCS di Reggio Emilia (principal investigators i professori Carlo Salvarani e Massimo Costantini) ed è stato condotto con la collaborazione di 24 centri. Si tratta del primo studio randomizzato concluso a livello internazionale su tocilizumab, interamente realizzato in Italia. Lo studio non ha mostrato alcun beneficio nei pazienti trattati né in termini di aggravamento (ingresso in terapia intensiva) né per quanto riguarda la sopravvivenza. In questa popolazione di pazienti in una fase meno avanzata di malattia lo studio può considerarsi importante e conclusivo, mentre in pazienti di maggiore gravità si attendono i risultati di altri studi tuttora in corso.
COME SCOPRIAMO SE QUESTI TRATTAMENTI FUNZIONANO: I BIG TRAIL – Grandi studi clinici randomizzati, come lo studio clinico Solidarity dell’OMS e RECOVERY Trial del Regno Unito, sono essenziali per ottenere dati affidabili su quali trattamenti funzionano contro il Covid-19. Entrambi stanno esaminando diversi trattamenti, ma gli studi sono progettati per essere adattati in corso, in modo che possano interrompere rapidamente i test di farmaci che si dimostrano non funzionanti e aggiungerne di nuovi man mano che si sviluppano. La sperimentazione RECOVERY sta attualmente testando alcuni di questi trattamenti: Desametasone a basso dosaggio (ora recluta solo bambini), Azitromicina (un antibiotico comunemente usato), Tocilizumab (un trattamento antinfiammatorio somministrato per iniezione), plasma convalescente (raccolto da donatori che si sono ripresi da Covid-19 e che contiene anticorpi contro il virus SARS-CoV-2).