“Sin dal primo giorno ho fatto unicamente il mio lavoro di giornalista. Se mi trovo qui adesso è perché ho seguito le proteste di Hirak in modo del tutto indipendente. Scorrete ancora una volta la mia pagina Facebook, leggete tutti i post e poi ditemi se ho scritto qualcosa che potesse minacciare l’unità nazionale o se mi solo limitato a riportare i fatti”. Sono le parole pronunciate l’8 settembre da Khaled Drareni nel processo d’appello che lo riguarda, il cui esito dovrebbe essere reso noto domani.
Drareni, rappresentante di Reporter senza frontiere per l’Algeria, corrispondente da Algeri per l’emittente francese TV5 Monde e fondatore e direttore del portale Casbah Tribune, è in carcere dal 27 marzo. Il 10 agosto è stato giudicato colpevole di “minaccia all’integrità del territorio nazionale” e “istigazione a manifestazione non armata” e condannato in primo grado a tre anni di carcere.
In appello, la pubblica accusa ne ha chiesti addirittura quattro. Dietro queste accuse si cela la partecipazione di Drareni al movimento di protesta “Hirak” che, dopo un anno di manifestazioni, nell’aprile 2019 ha costretto il presidente Abdelaziz Bouteflika a cedere definitivamente il potere.
Ma questo processo, unito alla persecuzione giudiziaria di altri giornalisti e di tanti attivisti, ci dice che in Algeria non è cambiato ancora niente.