Quali sono gli effetti del Covid sulla nostra vita quotidiana e in particolare di chi vive la scuola: insegnanti, alunni e famiglie? Una cosa è certa: il Covid ha spazzato via quella nicchia di sicurezza in cui ognuno di noi si rifugia per sopravvivere alle fatiche della quotidianità. Questo ci mette di fronte a paure e ansie che prima erano sopite e le amplifica. Ma gli effetti del Covid non sono solo sanitari o psicologici.

C’è dell’altro. Tutti noi siamo stati teletrasportati in una nuova normalità cui non avevamo chiesto di accedere. Uno spazio sociale con caratteristiche inedite che richiama alla memoria il film Matrix del 1999. Un film che descrive in modo fantastico, ma incredibilmente appropriato, la condizione che stiamo vivendo oggi. Rivederlo è ancora più spiazzante di quando uscì. Provare per credere.

Questa nuova normalità ci fa paura. Da sempre l’inizio della scuola è un rito collettivo per la nostra società, ma oggi, con l’avvio ufficiale dell’anno scolastico, è diventata una data simbolica, uno spartiacque. Insegnanti e alunni, insieme, entreremo in spazi e aule che sono già diverse da quelle di prima. Ci saranno modalità e strumenti da utilizzare in modo differente. Dovremo tutti prestare più attenzione.

Magari ci metteremo del tempo per completare il passaggio, ma tornare indietro è impossibile. Per tante ragioni, di cui una fondamentale: la scuola di prima era, come minimo, inadeguata. Lo sapevamo tutti, il Covid ha solo alzato il tappeto sotto cui si era cumulata la polvere di vari decenni. Davvero le lezioni che si svolgevano nella vecchia normalità erano interessanti, accattivanti, e riuscivano a tenere desta l’attenzione degli alunni?

Davvero le famiglie consideravano la scuola un momento fondamentale della vita dei loro figli? E partecipavano a motivarli nello studio e nell’apprendimento? Davvero gli alunni venivano a scuola pronti per imparare (almeno) una cosa nuova ogni giorno? Oppure non vedevano l’ora di arrivare al momento di ricreazione per poter, finalmente, giocare con lo smartphone senza quel noioso del prof che gli diceva di metterlo via?

Sono generalizzazioni? Certo, lo sono. Vale per tutti? No, certamente. Sono verosimili? Decidete voi… magari chiedendo in giro a amici insegnanti, ai figli che vanno a scuola o a chiunque ne abbia esperienza diretta, non per sentito dire. Potremmo scoprire che il Covid è certamente responsabile della dad mal fatta, quell’obbrobrio che in modo corretto si chiama didattica di emergenza.

Un’esperienza noiosa e faticosa per docenti e alunni, lo spiega bene Gino Roncaglia nel suo Cosa succede a settembre. Ma è solo un effetto superficiale. Ed è sciocco confonderla con una didattica a distanza adeguata e integrata con quella ordinaria che può coinvolgere di più, e in modo più inclusivo, gli alunni e le famiglie. Da tempo serviva uno scatto in avanti, il Covid ha obbligato i dubbiosi a ricredersi. Ma all’atto pratico, che fare?

Anche se non è sintetizzabile in un post la direzione è chiara e, sperando di sopravvivere al caos che ci attende da lunedì, da approfondire nei prossimi post. Innanzitutto cominciare a utilizzare in modo inclusivo gli strumenti e le tecnologie che abbiamo. Strumenti che, nonostante tutto, hanno dimostrato di funzionare, per fare meglio il nostro lavoro a scuola come insegnanti e come studenti. Ah, ma è la solita storia dell’innovazione tecnologica a scuola! Per niente.

Anzi, personalmente, ritengo che i profeti della tecnologia a scuola siano svantaggiati rispetto, per esempio, a chi comincia ora. Per innovare la didattica sono necessarie tre condizioni:

1. Gli strumenti tecnologici;

2. Le metodologie per utilizzarle;

3. Una forma mentis sensibile al tempo che stiamo vivendo.

Le prime due esistono già ed esistono gli specialisti per farlo. La terza è quella specifica che integra le prime due alle più recenti scoperte delle neuroscienze dandoci indicazioni preziose per applicarle con successo.

Di solito da quanto una ricerca o una scoperta medica, per esempio, viene pubblicata, passano (a seconda dei casi) dai dieci ai vent’anni affinché diventi di dominio pubblico. È naturale che sia così perché la scoperta avviene, poi se ne devono impadronire gli accademici che formano i nuovi professionisti che poi la applicano nella società. In questo giro passano appunto circa vent’anni. C’è solo un piccolo problema: tra vent’anni avremo già oltrepassato il punto di non ritorno della scomparsa della vita su questo pianeta causata da noi bipedi.

Non abbiamo più tempo e la scuola è elemento centrale per indirizzare tutta la società verso un cambiamento radicale. Che è necessario iniziare senza perdere tempo, per non perdere tutto. Anche a partire dalla scuola. I critici se ne facciano una ragione o, perlomeno, non disturbino.
Alla prossima.

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