L’indagine si basa sulle dichiarazioni dall’avvocato Pietro Amara, secondo cui Russo, arrestato nel febbraio del 2019, avrebbe ottenuto da lui circa 80mila euro (e altri 60mila promessi), per aggiustare sentenze di tre procedimenti davanti al Consiglio di Stato
I giudici della II sezione penale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora sospeso dalle sue funzioni) con l’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver pilotato almeno tre sentenze. È stato inoltre dichiarato estinto il rapporto di Russo con la Pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100mila euro in favore della Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, e di oltre 64 mila in favore dell’amministrazione giudiziaria a titolo di riparazione pecuniaria.
A far scattare l’inchiesta, che nel febbraio 2019 ha portato all’arresto di Russo, sono state le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara ai magistrati, ai quali riferì di aver dato a Russo 80mila euro, promettendone altri 60mila per far ‘aggiustare’ tre sentenze proprio davanti al Consiglio di Stato. Durante la requisitoria, i pm avevano chiesto di condannarlo a 7 anni e mezzo.
Nell’ambito dello stesso procedimento, nel luglio 2019 hanno patteggiato una condanna a 2 anni e mezzo l’ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana Raffaele Maria De Lipsis e l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso, accusati anche loro di corruzione in atti giudiziari. Per un terzo imputato, il deputato ora sospeso dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso, il gup Costantino De Robbio ha derubricato l’accusa in traffico di influenze fissando in un anno e due mesi la pena. La condanna per Russo, invece, è arrivata oggi perché aveva scelto di essere giudicato con rito ordinario.