Infine un altro dramma sociale, anzi globale, lo scolpisce presentandocelo a modo suo Gianfranco Rosi. Il suo Notturno, in Concorso a Venezia e grande sconfitto, al cinema è già pronto a intraprendere un lungo tour del regista e altri festival internazionali, tra cui Toronto. Stavolta, dopo tre anni di riprese tra le lande di confine in Kurdistan, Libia, Libano, Siria e Iraq il regista confeziona un’opera destabilizzante, piena di significato quanto spoglia di parole e spiegazioni. Rosi abbatte ogni didascalismo per ancorarsi direttamente al sentire del pubblico.
Ci spalanca gli occhi indagando silenziosamente nelle realtà più truci ai bordi delle guerre mediorientali: vedove che scorticano muri di lacrime, carcerati ammassati come bestie, disegni di bambini che ritraggono esecuzioni da parte del Daesh, pozzi petroliferi in fiamme a far da sfondo ad appostamenti notturni in canoa. Il “dove precisamente” importa poco, così anche il cosa un po’ si offusca per noi spettatori comodi e occidentali. Ecco, il breve smarrimento borghese che l’autore ci inocula con classe cristallina (senza induzione al piagnisteo come fu per Fuocoammare, ndr) non dev’esser nulla in confronto a dolore, confusione e paura che quelle persone vivono nella realtà.
Per questo il doc di Rosi ci lascia attoniti attraversandolo come fosse una magistrale mostra vivente della Magnum. Al cinema, a prescindere dai premi, vincono sempre chi fa un buon film e chi lo guarda.