Gli ermellini della Sesta sezione penale hanno annullato con rinvio il provvedimento emesso dal tribunale del Riesame di Firenze nel dicembre scorso. Il legale dell'imprenditore molto legato a Renzi: "Soddisfatti". Nell'ordinanza confermativa del sequestro era scritto che l'ex cassaforte renziana "appare aver agito quale articolazione di partito"
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’imprenditore Marco Carrai, molto legato all’ex premier Matteo Renzi ora leader di Italia Viva, contro il sequestro di documenti e pc nell’ambito dell’indagine sulla Fondazione Open – ex cassaforte renziana – della Procura di Firenze che ipotizza l’illecito finanziamento ai partiti. Il provvedimento emesso dal tribunale del Riesame di Firenze il 19 dicembre 2019 è stato annullato con rinvio per nuovo esame dagli ermellini della Sesta sezione penale.
“Siamo molto soddisfatti“, ha commentato l’avvocato Massimo Di Noia che difende Carrai insieme a Filippo Cei. Ad avviso del tribunale del Riesame, come è scritto nell’ordinanza confermativa del sequestro, la Fondazione Open “appare aver agito, a prescindere dal suo scopo istituzionale, quale articolazione di partito“ e da qui l’accusa di finanziamento illecito a Carrai – che era membro del cda Open – e che emergerebbe, secondo i giudici di merito, anche da documenti sequestrati all’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente di Open indagato pure lui nell’inchiesta.
Nell’ordinanza di conferma del sequestro, inoltre, il Riesame aveva sottolineato il ruolo di Carrai quale socio di due società in Lussemburgo tra loro collegate, una finanziata da italiani anche finanziatori di Open. Inoltre per i giudici fiorentini sarebbe emersa una “intromissione” di Carrai “nell’adempimento dell’incarico professionale affidato all’avvocato Bianchi dal gruppo Toto” e pertanto, concludevano, perquisizione e sequestri sono legittimi in quanto necessari per “ricostruire i rapporti degli indagati Carrai e Bianchi coi finanziatori di Open”.
Adesso si attenderà la pubblicazione delle motivazioni del verdetto emesso dalla Sesta sezione penale della Cassazione. Ci vorranno circa trenta giorni.