In Aula pigiarono compatti per il sì, ora in tanti alle urne faranno la croce sul no. Un pezzo influente e di peso della Lega ha deciso di fare campagna elettorale e di votare contro il taglio dei parlamentari. Apparentemente in aperto disaccordo rispetto alla linea ufficiale del partito, ma allo stesso Matteo Salvini giocare su due tavoli può fare molto comodo: “La Lega vota sì. Ma noi non siamo una caserma e se qualcuno vuole votare in modo diverso lo faccia“, ha ripetuto più volte il segretario. Che da una parte si appella alla “coerenza” per giustificare il sì, dall’altra sa che convincere gli elettori a dare una spallata al governo, con le Regionali ma anche con un ribaltone del no al referendum, può diventare un regalo alla Lega e a tutta l’opposizione.
Salvini cerca di mostrare che il referendum non sarà strumentalizzato: “Io ho votato quattro volte sì per il taglio dei parlamentari e voterò sì per la quinta volta”, ha spiegato, sottolineando ancora “siamo coerenti“. Dietro le quinte, però, scrive il Corriere della Sera, ha imposto lo stop alle dichiarazioni di voto da parte dei leghisti. I tempi dei banchetti e della campagna a favore del taglio dei parlamentari sono un lontano ricordo: ora Salvini del referendum ne parla poco e mal volentieri. In compenso ha lasciato che ad esprimersi fossero i big del partito, in una sorta di campagna parallela.
L’ultimo a uscire allo scoperto è stato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana: “Penso proprio di votare no“, ha confermato lunedì mattina. Giancarlo Giorgetti, pochi giorni fa, è stato ancora più esplicito e ha giustificato apertamente il suo no parlando proprio del rischio di fare “un favore al governo”. Quello che non può dire Salvini, lo racconta Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia leghista: “Lui – dice riferendosi al leader – deve essere coerente, per questo voterà sì, ma io credo che l’80% dei nostri elettori voterà no”. I deputati e i senatori? “Lì penso al 100% per il no“, dice Castelli.
Giorgia Meloni si trova nella stessa condizione: Fratelli d’Italia ha votato quattro volte per il sì in Parlamento e ora smentisce la svolta raccontata da Il Giornale: “La posizione del partito non è cambiata“, si legge in una nota ufficiale. Domenica però la stessa Meloni diceva: “L’idea che magari la vittoria del no possa creare un sommovimento nel governo, rischia di avere la meglio. E non penso che ci si possa sempre girare dall’altra parte di fronte a quello che vuole la gente”. Meno di un anno fa a Montecitorio i voti della Lega e di FdI erano stati tutti per il sì, ma oggi c’è la possibilità di dare una spallata al governo.
Come FdI, anche la Lega ha sempre sostenuto la necessità di ridurre i parlamentari: l’8 ottobre scorso a Montecitorio furono 111 i voti dei leghisti a favore dell’ultimo via libera alla riforma. I contrari? Zero. Gli astenuti? Pure. È passato meno di un anno, eppure tutto è cambiato. Salvini deve salvare la faccia e non può cambiare orientamento. Ma lascia che i volti influenti del partito proseguano la campagna parallela: c’è Giorgetti, c’è il governatore lombardo Fontana, ha svelato le carte anche l’ex ministro Gian Marco Centinaio. Non sono gli unici: il primo a esprimersi contro il taglio era stato l’economista Claudio Borghi, ma sono arrivati pure l’ex sottosegretario Armando Siri e i deputati Guglielmo Picchi, Paolo Grimoldi e Massimiliano Capitanio. Tutti parlamentari di peso, come il segretario della Lega in Lombardia.
Picchi, Grimoldi, Capitanio: favorevole, favorevole, favorevole. I dati di OpenParlamento sul voto alla Camera dell’8 ottobre scorso raccontano di quei sì premuti a Montecitorio e oggi sconfessati. Votò a favore della riduzione dei parlamentari anche Siri, quando l’11 luglio 2019 si espresse il Senato. Oggi sostengono apertamente il no, come l’ex sottosegretario Giorgetti che allo stesso modo aveva votato per il taglio e nel corso della sua carriera politica lo ha più volte perfino sostenuto: “I seggi possono essere 500, 400, 300”, diceva un anno fa ad Atreju.
“È una deriva da evitare con forza”, dice ora Giorgetti. Che però ammette: il sì “sarebbe un favore ad un Governo in difficoltà” e quindi “è anche per questo che voterò no“. Il governatore Fontana invece prova ad argomentare: “Io sono preoccupato quando si fanno delle modifiche costituzionali con degli strappi, perché si rischia poi di creare un vulnus in un’altra parte della Costituzione“, ha spiegato il leghista. Che della nostra Carta non si preoccupava un anno fa, quando c’era in gioco il futuro del governo: “Noi siamo coerenti e pronti subito al taglio dei parlamentari prima di andare al voto”, diceva allora Fontana. Stessa parabola dell’ex ministro Centinaio. “Non ho partecipato a nessuna votazione in Aula, al Senato, per non mettere in imbarazzo i colleghi e il partito”, si difende oggi il leghista. Che però era stato tra coloro che avevano proposto al M5s il sì al taglio dei parlamentari: “Si vota il taglio e poi si dà potere al popolo”, diceva il 13 agosto scorso, pur di evitare un accordo tra Cinquestelle e Pd.
Le ragioni di allora oggi non valgono più, quindi Centinaio voterà contro: “Non so nella Lega quanti parlamentari voteranno no, so solo che tanti colleghi non si esprimono e come al solito, come diceva Don Camillo ‘Dio ti vede nell’urna, qualcun altro no…‘”. Secondo Centinaio i no leghisti saranno tanti. “La Lega fortunatamente non è una caserma”, ha detto Salvini sabato da Matera dopo il no di Giorgetti. Ancora lunedì mattina il leader della Lega ha ribadito: “Il referendum è il trionfo della democrazia, della libertà di pensiero, ogni cittadino deciderà con la sua testa“. E così la Lega sembra voler ricordare cosa diceva Ugo Tognazzi nel film I Mostri: “Con un no ti spicci, con un sì t’impicci”.