La filiale inglese del gruppo rende noti i dati sul 2019: al fisco inglese appena 7 milioni di euro nonostante un colossale giro d'affari. In Italia e negli altri paesi europei la situazione non è diversa. Intanto le vendite del gruppo volano grazie al lockdown
Ci risiamo. Di pagare tasse rapportate alla dimensione della sua attività, Amazon proprio non ne vuole sapere. Dall’Inghilterra all’Italia le cifre di quanto viene versato al fisco sono oggettivamente ridicole. Nel 2019 il gruppo di Jeff Bezos ha pagato al fisco italiano 11 milioni di euro, quanto un’azienda di medie dimensioni, a fronte di un giro d’affari di 4,5 miliardi di euro. Ancora meglio in Gran Bretagna dove, in base ai dati diffusi oggi, emerge che Amazon Uk ha versato circa 7 milioni di euro pur avendo ricavi vicino ai 20 miliardi di euro e contando 25 mila addetti.
Gli utili migrano nei paradisi fiscali – “Le tasse sulle imprese si calcolano sui profitti e non sui ricavi e i nostri profitti sono rimasti bassi mentre continuiamo ad investire molto” precisa la filiale britannica nel comunicato. Excusatio non petita…. Peccato che poi la società non renda noti i profitti fatti in Gran Bretagna. IL giochino, in cui tutti i grandi nomi del web come Google, Facebook, Apple e appunto Amazon, sono veri fuoriclasse è sempre il solito. E’ infatti noto come legislazioni fiscali particolarmente favorevoli presenti anche in Europa, si pensi a Olanda, Lussemburgo o Irlanda, consentano facilmente di spostare i profitti nelle filiali domiciliate in stati con prelievi bassissimi o inesistenti. In sostanza i grandi gruppi fanno un sacco di soldi ma i guadagni (quelli su cui si calcolano le imposte) vengono spediti altrove. Così, tecnicamente, quello che rimane da tassare è poco o nulla.Come riporta oggi il quotidiano Repubblica, nel 2019 il fisco italiano ha incassato da Amazon, Google, Uber, Airbnb e Facebook la miseria di 42 milioni di euro. Google ha pagato in tasse meno del produttore di pelati “LaDoria”.
Una politica fiscale sul filo del illegalità – Tutto in regola, più o meno. Quando si muovono le procure un po’ di sporco viene a galla. Nel 2017 Amazon ha pagato 100 milioni di euro per chiudere un’indagine partita dalla procura di Milano. Nel 2018 accordo simile in Francia ma per un valore di 200 milioni di euro. Nel 2017 la procura di Milano ha pizzicato anche Google: vicenda chiusa con il versamento di 307 milioni. In pratica le tasse a queste società riescono a farle pagare solo i tribunali. Negli Stati Uniti il gruppo Amazon riesce a fare ancora meglio. Mettendo in palio al migliore offerente le sedi di nuovi stabilimenti riesce a incassare sussidi e agevolazioni fiscali da stati e città. Così, non solo negli ultimi anni il gruppo non è riuscito a pagare un dollaro di tasse, ma ha anzi maturato crediti di imposta per alcune centinaia di milioni.
Un’azienda che vale come il Pil italiano – Nel frattempo il fondatore Jeff Bezos è diventato l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio personale di quasi 200 miliardi di dollari. Grazie ai lockdown che hanno bloccato i negozi tradizionali, il colosso dell’e-commerce ha visto le vendite salire del 40% in pochi mesi e raddoppiare fino a mille e cinquecento miliardi di dollari il suo valore di borsa. Ma non pare che la società voglia condividere questa manna con il resto dei contribuenti. E poi via di campagne pubblicitarie per raccontare tutto quello che il gruppo fa per dipendenti, ambiente e consumatori.