Un gruppo di ginecologi e medici ha scritto una lettera aperta contro il progetto di legge Darmanin-Schiappa, che vieta il rilascio dei certificati. In questo modo si "attacca la conseguenza trascurando la causa, che è radicata nell'ignoranza e nella paura"
La Francia è divisa sui certificati di verginità. Proprio nel giorno in cui si sarebbero dovuti svolgere i correttivi al disegno di legge “Darmanin-Schiappia”, che chiede l’abolizione dei certificati di verginità e rende penalmente responsabili i medici che li rilasciano, un gruppo di ginecologi e dottori ha scritto una lettera aperta su Libération per lanciare un contro-appello, opponendosi al divieto: “I medici nei loro studi non risolvono la questione della laicità, del separatismo o di altre grandi questioni sociali. Hanno a che fare con la sofferenza fisica o psicologica dell’essere umano. Il certificato di verginità in questione è un documento che attesta la verginità di una donna, condizione essenziale da provare prima del matrimonio in alcune famiglie tradizionali di diverse religioni monoteiste“.
Certo anche i medici firmatari, si legge nell’appello, ritengono che tale pratica sia figlia di una cultura sessista, maschilista e retrograda, ma vietare i certificati di verginità e criminalizzare i medici che li rilasciano significa, dicono, “attaccare la conseguenza trascurando la causa, che è radicata nell’ignoranza e nella paura. Solo l’istruzione darà potere a queste giovani donne. Non rilasciare un certificato non è un atto di protezione della Repubblica o di promozione della laicità. Lo è ancora meno – concludono – sanzionare i medici che affiancano i loro pazienti”. Tra gli altri dieci firmatari, si leggono i nomi della presidente del collettivo femminista Cfcv Emmanuelle Piet, del presidente di Gynécologie San Frontieres (Gsf), Claude Rosenthal e del direttore del reparto ostetricia-ginecologia dell’ospedale Bicetre di Parigi.
Il progetto di legge Darmanin-Schiappa (rispettivamente il ministro degli Interni e l’ex ministra della Salute) riforma il testo del 1905, rivisto poi nel 2018: l’obiettivo è limitare l’autonomia della religione islamica rispetto alle regole dello Stato francese. Lo scorso febbraio era stato il presidente Emmanuel Macron in persona a enunciare le grandi linee del progetto di modernizzazione della società: “Nella Repubblica non si possono chiedere certificati di verginità per sposarsi. Nella Repubblica non si deve mai accettare che le leggi della religione siano superiori alle leggi della Repubblica”.
Ed è proprio su questa scia che il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, ha proposto di punire penalmente i certificati di verginità: “Alcuni medici osano ancora certificare che una donna è vergine per consentire un matrimonio religioso – ha spiegato Darmanin -, nonostante la condanna di queste pratiche da parte del Consiglio dell’Ordine dei medici. Non soltanto lo vieteremo formalmente, ma ne proporremo la penalizzazione”. Dall’altra parte però il problema sollevato da medici e ginecologi francesi è quello di abbandonare le ragazze a pratiche clandestine, costringerle a viaggi all’estero o abbandonarle a se stesse.
Per Isabelle Derredinger, segretaria generale dell’Ordine delle ostetriche, “certificare la verginità è un’inezia anatomica, ma non prevedere questo documento può portare a mettere delle donne in pericolo”. “Spiegare e smontare i pregiudizi” è l’obiettivo di un’altra ginecologa intervistata da Le Monde, Ghada Hatem, che ha creato la Casa delle donne di Saint-Denis, una cité particolarmente difficile della banlieue parigina, che accoglie donne “vulnerabili o vittime di violenza”: “Quando vedo che la donna che me lo chiede ha dei mezzi, che può cavarsela senza, rifiuto di emettere un certificato del genere. Le spiego, le parlo dei diritti delle donne, delle battaglie delle generazioni che l’hanno preceduta affinché le donne possano disporre del loro corpo. Ma in certi casi per le giovanissime soprattutto, la mia priorità è innanzitutto di proteggerle. E se la consegna di un certificato di verginità è l’unico modo, lo faccio e me ne prendo la responsabilità”.