Politica

Il taglio dei parlamentari non è un taglio di democrazia: attenzione agli ‘opposti demagogismi’

di Giovanni Ceriani*

Cari amici di sinistra,

se fate parte di coloro che fino a ieri si stracciavano le vesti per la “deriva autoritaria e illiberale” di questo governo, urlando, un giorno sì a l’altro pure, “Aiuto, i Dpcm!”, “Oddio lo stato di emergenza!”, “Abbasso la dittatura sanitaria“, “Basta lockdown!”, allora fate bene a non fidarvi neanche adesso del Governo e della Riforma, e fate bene a votare convintamente per il No. Non avevate capito niente prima, figuriamoci adesso.

Se invece fate parte di coloro che hanno ben compreso le ragioni dei Dpcm, dello stato di emergenza, delle misure di distanziamento sociale etc, e lo avete fatto perché vi fidavate di questo Governo, della sua prudenza e responsabilità, della sua caratura democratica e assieme il suo orientamento sociale, allora in questo caso vi invito a fare altrettanto anche adesso, allontanando dubbi e paure di presunte derive antiparlamentari e antidemocratiche sottese alla presente riforma.

Poi si può lo stesso giudicare la riforma sbagliata, ma almeno ne togliamo alcune demagogiche assunzioni. Il lume della ragione va tenuto sempre acceso per cui l’invito è di provare a sviluppare un ragionamento coerente ed onesto. E partendo proprio dalla preliminare ma benefica critica degli opposti demagogismi. Se da una parte, infatti, è stupida e risibile la demagogia di chi considera il “taglio” dei parlamentari ipso facto un balsamo della democrazia e della qualità dei rappresentanti (“meno sarebbe meglio”), così dall’altra parte – e lo dico chiaramente – è altrettanto stupida e tediosa la speculare equazione per cui il taglio dei parlamentari sarebbe ipso facto un taglio della democrazia (“meno sarebbe peggio”).

Sono due analoghi semplicismi che sanno solo di propaganda e sono – loro sì – impolitici e parimenti qualunquistici nelle forme e ripetitività. Non sono stati i Dpcm a minare la democrazia: non lo è ora la riduzione dei parlamentari. Il punto è vedere la direzione della riduzione, il contesto in cui nasce e il progetto politico di cui è parte. Con Matteo Renzi, per esempio, la riduzione avveniva all’interno di un “pacchetto” di modifiche costituzionali che non solo tendevano a stravolgere nel profondo la Costituzione, ma la spingevano pure in senso opposto a quello di cui oggi si sta parlando.

Quel pacchetto – quella “cornice” (tanto cara ai vari Molinari, i Prodi e le Bonino di turno) – era interna ad un cambiamento radicale di forma di Governo e pure di forma di Stato, che con l’aggiunta della scandalosa legge elettorale prevista (il famigerato “Italicum”) spostava decisamente l’assetto costituzionale italiano su di un piano para-presidenzialista, con una Camera di nominati dai partiti e addirittura un Senato di nominati-dai-nominati. Il tutto con una desertificazione delle procedure di democrazia e la solita spolveratina di culto dell'”efficientismo” in salsa neoliberale e con il placet Ocse, J.P. Morgan e Confindustria.

Con il Governo Conte, invece, siamo all’interno di un progetto politico di segno diametralmente opposto. La riforma costituzionale, assieme alla proposta di modifica della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari, vogliono tentare di rimettere in piedi l’assetto costituzionale originario e a rimediare al vulnus di democrazia che da trent’anni subiamo con deturpanti “premi di maggioranza” e permanenti invocazioni (e brame) presidenzialiste e semipresidenzialiste.

Il ritorno del sistema elettorale proporzionale, con il ristabilimento della centralità del Parlamento nella formazione delle leggi e negli equilibri istituzionali, sarebbero una manna dal cielo e una forte messa in sicurezza del parlamento, della Costituzione e della democrazia dall’avventurismo di cui sopra.

Oggi, quindi, la questione appare più complessa e addirittura opposta rispetto a chi grida al taglio della democrazia. Opposta ma addirittura comica – o purtroppo tragica – se colta alla luce dell’ammucchiata di coloro che votano No perché la presente riforma sarebbe troppo poco: troppo poco invasiva, troppo poco profonda, troppo poco presidenzialista, troppo poco renziana.

Nella strategia degli opposti demagogismi c’è sempre un terzo che gode: e quest’ultimo sarebbe il fronte di chi vuol strumentalizzare il referendum per far cadere il governo e realizzare, più avanti, con calma, proprio il peggio del peggio del peggio. Eccolo qui il famoso trappolone.

*Docente precario di materie giuridiche e di sostegno, ho un dottorato di ricerca in filosofia del diritto e da sempre promuovo iniziative sul territorio sui temi soprattutto dei diritti sociali e sulle problematiche legate alla scuola