Lo studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici simula con modelli tecnologici cosa accadrà entro il 2100 se non si intraprendono azioni immediate e concrete. Calcolandone anche i danni economici: solo per il settore agricolo perdite tra gli 87 e i 162 miliardi, mentre il turismo rischia tra i 17 e 52 miliardi
Un’Italia sempre più calda – fino a 5 gradi in più nel 2100 nello scenario peggiore – con foreste che si incendiano più spesso, una disponibilità d’acqua ridotta del 40% e città esposte a ondate di calore e piogge molto violente. Così sarà il Paese che i nostri figli erediteranno, se non si agisce subito e in maniera strutturale, secondo l’ultimo studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), l’ente di ricerca che realizza studi e modelli del sistema climatico grazie a un’infrastruttura tecnologica capace di sviluppare simulazioni altamente accurate. Come quella sull’Italia del futuro contenuta nel rapporto “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, a cura di Donatella Spano e Valentina Mereu.
La simulazione si focalizza sull’analisi di alcuni settori chiave, per sottolineare i possibili impatti del riscaldamento globale in termini economici: solo per il settore agricolo i danni si aggirano tra gli 87 e i 162 miliardi nel 2100, mentre il turismo rischia tra i 17 e 52 miliardi. Lo studio da un lato vuole indicare alla politica le strade da intraprendere, dall’altro prova a spiegare ai cittadini i comportamenti da adottare. Con lo scopo, anche, di evitare un Paese sempre più ingiusto, visto che le conseguenze del cambiamento climatico colpiranno soprattutto i più fragili e poveri.
Crescono le temperature, scendono le piogge (ma non ovunque) – Secondo il rapporto, negli scenari considerati ci si può attendere, nell’ipotesi peggiore (quella cioè senza alcuna azione di mitigazione) un aumento fino a 5 gradi della temperatura al 2100 rispetto al trentennio 1981-2010. Quasi certo ormai un aumento di 2 gradi pur nei diversi modelli climatici nel periodo 2021-2050. Ma se la variazione cambia a seconda dello scenario climatico considerato, la distribuzione invece è uniforme su tutto il territorio. D’altronde, già nel 2019, secondo il rapporto, i giorni di caldo intenso sono stati 29 in più rispetto al periodo 1960-1990. Per quanto riguarda le piogge, invece, ci sono differenze su base geografica. In generale, è attesa una diminuzione dei valori annuali e un aumento di intensità nei giorni piovosi. Le precipitazioni si riducono al centro-sud in estate, mentre aumentano al nord, specialmente in inverno.
91% dei comuni italiani a rischio idrogeologico – Un punto chiave del rapporto è rappresentato dall’analisi del rischio idrogeologico, il cui rischio è aumentato di circa il 9% negli ultimi vent’anni. Nel Sud Italia ci sono più comuni con bassi livelli di resilienza ai disastri, ma anche le regioni del Nord sono altamente impreparate a affrontare gli effetti del clima che cambia. Infatti, ben il 91% dei comuni italiani è a rischio frane e alluvioni e 7 milioni di persone vivono o lavorano in aree definite ad “alta pericolosità”. L’innalzamento delle temperature e l’ aumento di precipitazione localizzate, combinate con il consumo di suolo e l’occupazione delle aree fluviali, esacerbano il rischio. Anche lo scioglimento di neve, ghiaccio e permafrost rende le zone alpine e appenniniche interessate da fenomeni di dissesto, mentre aumenta il rischio idraulico per piccoli bacini.
Tra le zone più esposte al riscaldamento però ci sono le città, che ospitano il 56% della popolazione italiana. La presenza di superfici impermeabili e la scarsità di suolo e vegetazione, a cui si aggiunge il traffico, la climatizzazione degli edifici e l’attività industriale, danno origine a ondate di calore che colpiscono i più fragili, anziani, bambini, poveri, malati. Addirittura, i centri urbani sperimentano temperature più elevate di 5-10% rispetto alle aree rurali circostanti. Esiste poi un forte legame tra incremento di temperatura e inquinamento atmosferico, con conseguente aumento della mortalità, a causa di malattie cardiovascolari e respiratorie.
Meno 40% di acqua e minore produttività agricola – Altro settore che presenta gravi criticità è quello dell’acqua, visto che i cambiamenti climatici presentano rischi per la disponibilità di risorse idriche in Italia, specie nei mesi estivi e nelle zone più aride, tanto che è attesa, nei decenni a venire, una diminuzione fino al 40% in meno nel 2080, a cui si aggiunge un’ulteriore diminuzione come conseguenza delle attività antropiche. Ma l’acqua non solo diminuisce, ma peggiore come qualità, anche perché i corsi d’acqua e le riserve idriche costiere sono esposte all’innalzamento del livello del mare con conseguente intrusione di acqua salata.
Diminuirà la produttività per le colture a ciclo primaverile estivo, mentre olivo e vite potrebbero spostarsi verso nord. Ma l’aumento delle temperature ha conseguenze anche sulla produttività del bestiame, sottoposto a stress a causa delle temperature (la vulnerabilità è maggiore per i ruminanti da latte e suini, media per gli avicoli e medio-bassa per i ruminanti da carne). La maggiore concentrazione di CO2 rischia di influenzare negativamente la qualità nutrizionale di alcuni prodotti, come i cereali.
Sempre più incendi – L’interazione tra fenomeni climatici estremi e cambiamenti nell’uso del suolo (abbandono delle aree coltivate, dei pascoli, delle foreste gestite) aumenta il rischio di incendi del nostro patrimonio forestale, che costituisce il 35% del territorio nazionale. Nei prossimi decenni si attende un incremento del 20% in tutti i diversi scenari climatici e un allungamento della stagione degli incendi compreso tra i 20 e i 40 giorni. Questi fenomeni potranno causare in Italia un aumento delle superfici percorse compreso tra 21% e 43%, a seconda dello scenario considerato. L’aumento dell’area bruciata comporterà un incremento delle emissioni, con un peggioramento della qualità dell’aria.
Danni all’economia: fino a – 7-8% di Pil – Ultimo, ma non per importanza, il capitolo sui costi: gli impatti dei cambiamenti climatici vanno dallo 0,5% del Pil procapite attuale al 7-8% a fine secolo nel peggiore degli scenari, con impatti peggiori nelle regioni più povere. Alcuni numeri: nello scenario di aumento della temperatura di 3 gradi al 2070, i costi in termini di perdita di capitale infrastrutturale sarebbero tra 1 e 2,3 miliardi di euro fino al 2050 e fino a 15,2 miliardi tra il 2071 e il 2100. Innalzamento del mare e inondazione costiere costeranno 900 milioni di euro a metà secolo e 5,7 miliardi a fine secolo, mentre il decremento del settore agricolo è valutabile tra gli 87 e i 162 miliardi di euro al 2100. Ancora: perdite stimate in 17 e 52 miliardi di euro nei due scenari climatici (2 e 4 gradi) per il settore turistico, mentre si stima che con un aumento di 4 gradi solo 18 per cento delle stazioni sciistiche alpine avrebbero una copertura nevosa.
Una base scientifica per politici e cittadini – Dall’analisi degli scenari futuri, dunque, emerge la necessità di utilizzare tutte le risorse disponibili in ambito europeo e nazionale per andare verso una trasformazione coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibili e verso percorsi di adattamento, che già alcuni comuni e regioni hanno messo in atto. “Questo documento rappresenta una solida base scientifica e tecnica per le politiche climatiche e territoriali da mettere in atto”, commenta la curatrice del rapporto Donatella Spano, Strategica Advisor del Cmcc e docente all’Università di Sassari, secondo cui “il cambiamento climatico dovrebbe rappresentare uno dei pilastri fondamentali dell’agenda politica”.
Commenta il rapporto anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa: “I modelli avanzati del Rapporto del Cmcc, e la rete di collaborazioni internazionali da cui scaturiscono, mettono in evidenza, una volta di più, quanto sul clima non si possa scherzare e i tempi per intervenire siano sempre più stretti. La pandemia globale non ci ha distolti dal problema, semmai lo ha reso ancora più urgente. Non c’è settore sociale o economico che non possa o non debba fare la sua parte e non c’è ambito che la crisi climatica non possa mettere ancora più in crisi: non abbiamo più tempo di essere pessimisti e dobbiamo lavorare per questo, come stiamo già facendo”. Una nota positiva è espressa, in conclusione, da Antonio Navarra, presidente della Fondazione Cmcc. “Dal rapporto emerge come il sistema climatico abbia un impatto concreto sulla produttività, la sicurezza, la salute, l’economia. La buona notizia, però, è che lo stato attuale delle nostre conoscenze ci permette di analizzare e valutare il rischio connesso ai cambiamenti climatici”.