di Donatello D’Andrea
In questi giorni tutti parlano del grande valore della rappresentanza nel nostro Paese, senza chiedersi quanto questa valga realmente. Abbiamo visto costituzionalisti alzarsi in piedi a difendere il ruolo del Parlamento e altri scagliarsi contro l’elevato numero di rappresentanti, ormai definito “inutile” e “anacronistico”. Insomma quasi tutti hanno abbracciato, a ragione o a torto, la causa della rappresentanza senza approfondire lo stato in cui versa.
Premesso che efficienza e volontà politica vanno a braccetto, dato che contano la voglia di lavorare, di discutere le leggi, l’iter legislativo scritto sui regolamenti e sulla Costituzione non è lo stesso che i parlamentari incontrano nella realtà fattuale.
Generalmente i disegni di legge di deputati e senatori vanno a buon fine lo 0,87% delle volte, quelli del governo il 32,02% [dati Openpolis]. Un disegno di legge del governo viene approvato in quattro mesi, mentre quello di origine parlamentare in un anno.
Ogni mese vengono depositate circa duecento proposte di legge ma solo sei arrivano al traguardo.
Si sa, per Costituzione, che l’iniziativa spetta ad ogni singolo parlamentare, ad almeno cinquantamila elettori, a ciascuna Regione e al famoso Cnel.
Le cose, in realtà, stanno diversamente. Chi contava davvero erano il Parlamento e il governo. Anzi, nella Seconda Repubblica, come si è visto, il potere si è spostato completamente sulle spalle del governo.
I parlamentari sono culturalmente meno strutturati e politicamente più deboli, dato che non sono più forti delle preferenze ma solo dell’investitura di un capo partito.
L’esecutivo, poi, ha due armi per controllare il Parlamento: la fiducia e il voto palese. Regola vuole che la decisione di mettere la fiducia spetti al Consiglio dei Ministri. In realtà è il Presidente del Consiglio a decidere. Se ci sono problemi, qualcuno da Palazzo Chigi fa sapere che l’autorizzazione era stata data venti giorni prima.
Otto leggi su dieci provengono dall’iniziativa del governo. Lo strumento prediletto è, ovviamente, il decreto legge.
Il decreto è efficace subito. E il Parlamento ha sessanta giorni per ratificarlo. In teoria potrebbe non farlo, lasciandolo così decadere, ma capita una volta su dieci. E comunque il governo può approvarlo una seconda volta.
È evidente che il Parlamento non goda di buona salute. Il sistema dei pesi e dei contrappesi non funziona come dovrebbe. Un motivo per votare Sì? Dato che il Parlamento è inutile. Oppure un motivo per votare No, un governo troppo forte, potrebbe rappresentare un problema per la democrazia.
In ogni caso, è evidente che il Parlamento ha un disperato bisogno di uscire dal triste guado in cui la classe dirigente italiana, disonesta e inadeguata, continua a farlo felicemente sguazzare. Qualunque sia il risultato del quesito referendario, bisognerà sempre partire dall’assunto che in una democrazia rappresentativa lo snodo cruciale è sempre lui, il Parlamento.