È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Latina, Antonella Minunni. Agli atti anche un episodio di recupero crediti
Estorsione, riciclaggio e tentata truffa sui fondi europei. Gli affari di Luciano Iannotta, imprenditore pontino leader della Confartigianato locale e presidente del Terracina Calcio, secondo gli inquirenti si intrecciavano con quelli della criminalità organizzata. Il 49enne, arrestato mercoledì mattina insieme ad altre 10 persone nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, aveva legami con il locale clan Di Silvio, famiglia sinti parenti dei romani Casamonica, che hanno la base proprio nel basso Lazio. Ma anche con una famiglia calabrese riconducibile alla ‘ndrangheta. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Latina, Antonella Minunni.
L’estorsione incaricata agli affiliati ai Di Silvio – C’è un episodio ben evidenziato dagli inquirenti. Si tratta del “recupero crediti” operato nei confronti di Vincenzo Cosentino, che secondo Iannotta era debitore di 80.000 euro, a suo dire “indebitamente trattenuti”. Per fare questo, l’imprenditore nel 2016 si rivolge a Renato Pugliese e Agostino Riccardo, due “soggetti notoriamente affiliati ai Di Silvio”, e oggi pentiti di giustizia. Dice Iannotta al suo commercialista, Paolo Fontenova: “Lunedì mi vedo con coso… co Angeloni (l’avvocato di Cosentino, ndr) per chiudere quella storia di quel pezzo di merda! E vediamo… mi ha chiamato lui mi ha detto che vogliamo fare… dobbiamo andare a discutere oppure facciamo pace… ci mettiamo d’accordo?”. Si legge nel capo d’imputazione: “Facendo valere la loro appartenenza al clan Di Silvio ed il rapporto di parentela di Pugliese con Costantino Di Silvio detto Cha Cha)”, i due ottenevano “lo costringevano a consegnare in una prima occasione la somma di 2.000 euro e poi somme variabili oscillanti tra i 200 e i 150 euro”. Un’azione che costa ai tre l’incriminazione con l’aggravante del metodo mafioso, in quanto si sarebbero fatti forza “di intimidazione promanante dalla loro appartenenza al clan”.
I rapporti con la famiglia Barbaro – “Zingari”, ma anche presunti ‘ndranghetisti. Questa la natura dei contatti di Iannotta, che a un certo punto detiene il 50% della Aelleppi Motors srl, con sede legale a Sonnino. L’altra metà è equamente divisa fra Alberto e Antonio Barbaro, rispettivamente fratello e figlio di Giuseppe Barbaro, un 76enne di Palmi (Reggio Calabria). Quest’ultimo, secondo quanto annotano gli inquirenti, “annovera secondo controlli volti dalla Squadra mobile precedenti di polizia per il reato di cui all’art. 416 bis del codice penale”, ovvero associazione di tipo mafioso.
La tentata truffa ai fondi Ue e il ruolo di Altomare – In questo contesto, l’imprenditore di Sonnino, “aveva creato un sistema ad hoc per accedere a fondi dell’Unione europea attraverso la presentazione di progetti supportati da documentazione contraffatta (esempio progetti inesistenti, curriculum falsi) relativi a società riconducibili a suoi prestanome, al fine di conseguire le agevolazioni di cui al decreto legislativo 185/2000. Un’attività che veniva effettuata grazie alla collaborazione di Natan Altomare – anche lui agli arresti – personaggio non nuovo alle cronache locali pontine, già in passato coinvolto nell’inchiesta ‘Don’t Touch’, dalla quale sono emersi i suoi rapporti con il fratello dell’ex ministra Beatrice Lorenzin, sempre smentiti o ridimensionati dal diretto interessato.