Un esercizio del proprio potere per accertamenti arbitrari su una psicologa nominata dal tribunale in una controversia con il coniuge. Per questo l’ex capo della Squadra Omicidi della questura di Perugia, Monica Napoleoni, è stata condannata a 3 anni e 3 mesi di reclusione.
La poliziotta ricopriva quel ruolo anche durante le indagini per l’omicidio di Meredith Kercher. Motivo che ha spinto Raffaele Sollecito, a lungo imputato e poi assolto dalle accuse insieme ad Amanda Knox, a commentare: “Capo della squadra omicidi quando indagarono nel caso Kercher… poi in tribunale per anni mi sono sentito dire che sono persone oneste ed encomiabili”.
Napoleoni, come riporta Il Corriere dell’Umbria, era finita a processo con la collega Stefania Zugarini, ritenuta colpevole e condannata a 3 anni e 2 mesi. Secondo l’accusa, l’ex capo della Omicidi avrebbe esercitato il proprio potere per scopi personali: nello specifico, avrebbe effettuato due accessi abusivi al sistema informatico e sarebbe stata la mandante, insieme a Zugarini, di alcune scritte offensive davanti alle case della psicologa e del marito.
Una contestazione, quest’ultima, dalla quale sono state assolte. Mentre il giudice ha sposato l’impianto accusatorio per quanto riguarda l’accesso abusivo. La sola Napoleoni è inoltre stata ritenuta colpevole del danneggiamento dell’auto della psicologa.
Sollecito e Knox, che si sono sempre dichiarati innocenti, furono assolti dopo una lunga serie di processi che durò 7 anni, quasi quattro dei quali trascorsi in carcere. Arrestati il 6 novembre 2007 vennero entrambi condannati in primo grado. Il 4 ottobre del 2011 la sentenza di primo grado venne ribaltata dai giudici di appello di Perugia che li assolse. Aprendo dopo poco meno di quattro anni le porte del carcere ai due giovani.
Knox era quindi tornata il giorno dopo negli Usa con la sua famiglia. L’assoluzione di Perugia venne però annullata dalla Cassazione per questioni procedurali. Il nuovo processo di secondo grado, a Firenze, terminò con una condanna di Knox e Sollecito. Ma il 27 marzo 2015 la Cassazione mise definitivamente fine al procedimento assolvendo i due “per non avere commesso il fatto”.