Riparte il campionato di calcio di serie A e per noi tifosi, appassionati e malati, anche travestiti da opinionisti, intellettuali o analfabeti, inizia il calvario della ritualità scaramantica. Una sorta di simpatico disturbo ossessivo compulsivo che si manifesta sotto forma di fisime, vissute come profezie, che preannunciano che la squadra del cuore sarà oggetto di disgrazie (o fortune) di cui sente l’assoluto obbligo di prevenirle attraverso la messa in atto di rituali mentali che appaiono quantomeno strani.

La ritualità del tifoso non è assolutamente legata a canoni collettivi o di massa. È esclusivamente individualista e soggettiva, legata alla compresenza di elementi laici e religiosi ma con una predominanza della componente sacrale.

L’obiettivo, mi perdoni nostro Signore, è unico: determinare un risultato positivo per la squadra del cuore. Si prega la Madonna per un gol di Mertens, si invocano i santi per un risultato negativo della Juve. I riti infatti sono benauguranti; sollecitano il favore celeste a esprimersi nel sostegno alla squadra. Se poi incontri altri pazzi scatenati che seguono i tuoi cerimoniali profani, allora quei rituali producono anche un senso di appartenenza: con la ripetitività dei gesti e delle formule si attribuiscono a individui e gruppi una sistemazione e una riconoscibilità collettiva. Ma forse, più di ogni altra cosa, forniscono il quadro in cui esprimere utopie e follie.

Infatti ditemi voi se non è una alienazione sedersi, in occasione delle partite guardate in tv, sempre al solito posto e nella stessa posizione sul divano di casa solo perché per due settimane consecutive il mio Napoli ha vinto con quella disposizione salottiera. oppure, sempre per lo stesso motivo, costringere le donne di casa a rimanere rinchiuse nella camera da letto per un intero campionato, anche se la partita è pomeridiana, solo perché in quelle due oramai famose partite vinte, tra l’altro serali, erano andate a dormire prima.

Ma le psicopatie si manifestano soprattutto quando il Napoli perde. Inizia una settimana di passione. Una settimana in cui il risultato della propria squadra condiziona l’humus della famiglia e del gruppo di lavoro, i microcosmo sociali più direttamente influenzati.

Sette giorni, comunque fino alla partita successiva, di consapevole e terapeutico isolamento durante i quali non si vedono trasmissioni sportive alla tv e non si leggono giornali sportivi (o si legge il giornale che non ha una pagina sportiva) per evitare di soffrire ascoltando o leggendo coloro che commentano l’ultima sconfitta. Perché penso, fobico pregiudizio, che gli altri possano gioire di fronte alla sconfitta della mia squadra del cuore. La rinuncia a seguire il calcio, quindi, è un antidoto per non dare soddisfazione a questi ultimi (che sicuramente non ti filano neppure di striscio) di godere dell’insuccesso.

Paranoia, eccesso, assurdità? Forse sì, sicuramente genetica ed ereditaria. Ma esiste. Buon campionato (delle scaramanzie) a tutti!

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