L’autismo è una sindrome che colpisce soprattutto la sfera dell’interazione sociale, del comportamento e della comunicazione, da cui non si guarisce. Ma almeno si può cercare di rendere migliore la vita di chi ne è affetto aiutando le famiglie a superare le criticità che si creano nella routine quotidiana con quanta più normalità possibile. È con questa intenzione che la Fondazione Sacra Famiglia a Varese ha appena inaugurato quattro appartamenti “didattici”, battezzati “Blu home” (blu è il colore che in tutto il mondo rappresenta l’autismo), con percorsi su misura per migliorare la capacità di gestione della vita di tutti i giorni. Il progetto prevede un soggiorno in linea di massima di dieci giorni durante il quale un’équipe di professionisti, formata da uno psicologo e un educatore della onlus, monitorano attraverso un sistema di telecamere nascoste i comportamenti della famiglia nel corso della giornata fornendo ai genitori, dotati di auricolari, indicazioni e suggerimenti sulle strategie alternative da adottare nelle diverse circostanze. “È un modello unico in Europa – spiega Lucio Moderato, psicoterapeuta e direttore dei servizi innovativi per l’autismo della Fondazione, che ha ideato le “Blu home” – Voglio che altri ci imitino al più presto”.
In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico, un bambino su 77 di età compresa tra 7 e 9 anni presenta un disturbo dello spettro autistico. Convivere con questa sindrome, per i soggetti affetti e per le persone che ci vivono insieme,è spesso complesso. “Gli errori educativi dei genitori verso i figli con autismo sono molto diffusi – osserva Moderato – tendono a essere troppo sostitutivi e protettivi e a concedere poca autonomia. Ma per aumentare la qualità di vita serve al contrario promuovere la loro indipendenza e lo sviluppo delle abilità di base”.
L’esperto elenca una serie di cattive abitudini che inconsapevolmente si assumono. “Essere assillanti, parlare velocemente e con un tono di voce alto. Oppure sovrapporre i comandi, come ‘stai fermo, vieni qui’ mandando in confusione il bambino. O ancora, sgridarlo sorridendo o sollecitarlo a compiere un’azione dietro l’altra con degli imperativi. Sono tutti modi che agitano il bambino. Bisogna imparare ad aspettare e a dargli spazio”. Moderato fa un esempio: “Per insegnargli a vestirsi da solo si possono attaccare delle foto sull’armadio che riproducono in sequenza le operazioni da compiere. Per evitare che urli e scappi in cerca di attenzione, vanno valorizzati i suoi atteggiamenti positivi, come quando rimane seduto al tavolo insieme agli altri, anziché darli per scontato”.
Il programma del soggiorno nella casa didattica inizia con una prima giornata dedicata all’accoglienza. Prosegue con due o tre giorni di osservazione senza alcun intervento da parte degli operatori. Dopodiché i genitori vengono guidati e corretti nello svolgimento delle attività con i propri figli. Il settimo giorno serve per metabolizzare le correzioni. E il resto della permanenza per valutare i progressi e consigliare eventuali percorsi da intraprendere successivamente. “Tramite un’app le famiglie potranno continuare a essere assistite dal nostro team una volta rientrate nella loro abitazione”, aggiunge lo psicoterapeuta.
L’iniziativa, rivolta alle famiglie con persone affette da forme gravi o lievi di autismo, e di tutte le età, ha un costo ma, precisa la onlus, “sono previste agevolazioni per i nuclei più bisognosi”. “L’impegno per il futuro è convenzionarci con le asl”, dichiara Moderato.
Il periodo di lockdown ha favorito l’uso delle tecnologie anche da parte dei servizi di neuropsichiatria infantile sul territorio. “In molti casi è stata garantita la teleassistenza alle famiglie tramite le più comuni app di videochiamata nei diversi momenti della giornata”, spiega la neuropsichiatra Maria Antonella Costantino, che presiede la Società italiana di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (Sinpia). “Una modalità di intervento che continuiamo a usare anche adesso e che si è rivelata utile sia per noi operatori, perché l’accesso al contesto abitativo ci ha permesso di conoscere direttamente le dinamiche relazionali al suo interno e di offrire indicazioni mirate, sia per le famiglie che nelle situazioni più difficili potevano contattarci. Stiamo raccogliendo i dati a livello nazionale per valutarne l’impatto”, conclude Costantino.