di Luigi De Gregorio

Non esisterei più per gli amici. Ossia. Se non andassi alla movida, se non andassi in discoteca, se non entrassi nei bar orfani delle regole anti Covid (dove gli amici vanno tranquillamente), se non frequentassi più la palestra, perderei tutti gli amici. E non potrei presentarmi a loro, al termine della pandemia, e come se niente fosse salutarli “Ciao come va?” La risposta/invito “ma vedi di andartene a …..” è la più gentile, la più sobria, la più tirchia ed anoressica forma lessicale che potrei aspettarmi.

Insomma seguire tutte le indicazioni di lotta al virus comporta il pericolo di perdere gli amici o essere preso per i fondelli per i successivi dieci anni. E questa è una cosa certa che mettiamo su uno dei due piatti della storica bilancia (capostipite di tutte le successive tra cui quelle elettroniche).

Ora sull’altro piatto. Mettiamo che io mi adegui al gruppo, ossia che me ne freghi del Covid. In questo caso il rischio di essere beccato dal killer invisibile c’è, ma è una cosa incerta. Nel senso che è possibile, ma la probabilità che succeda proprio a me è molto bassa. Insomma tra la certezza della dimostrazione palese per gli amici che sono un grandissimo fifone e la scarsa probabilità che un invisibile pericolo si abbatta su di me la logica, con appena un quanto basta di coraggio, mi dice: “vale la pena rischiare”. E quindi scelgo gli amici.

Suddetto ragionamento fatto da molti giovani ha la sua forza nella logica. Ma ha un difetto. Quello dell’egoismo: al mondo ci sono io, soltanto io e i miei amici. E degli altri non me ne frega niente. A quanto sopra si aggiunge un altro difetto che è quello di dimenticare la caratteristica del Covid-19: a lui (come ad ogni virus) piace viaggiare da una persona all’altra per tutto il mondo. Una sorta di mission della sua vita.

Questa rimozione, da parte di una minoranza di giovani, di non voler pensare specificatamente al fine ultimo di Covid-19, cioè il viaggio come essenza della vita, equivale a schierarci dalla sua parte. Come se diventassimo suoi amici. Allora torniamo ai due piatti della bilancia. Il non combatterlo significa da una parte mantenere i nostri amici di sempre, ma nello stesso tempo aver acquisito, ma senza volerlo, un amico che ha già fatto circa un milione di morti in tutto il mondo e che continua a stravolgere la nostra vita. In pratica, tenersi gli amici soliti significa aggiungere ad essi un killer mondiale che non desideriamo.

Ora è vero che l’altruismo, il senso di responsabilità sono in affanno, sono in ombra o addirittura in eclissi totale per alcune persone. Ma, se non genericamente per il mondo e per l’Umanità, allora facciamolo almeno per i nostri cari, madre padre sorelle fratelli figli nipoti: combattiamo l’invisibile nemico e non diventiamo suoi amici. In fondo, ci viene chiesto di usare armi quali: la mascherina, la distanza, l’igiene. E non di imbracciare il fucile e andare in guerra. Al fronte.

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