Leggo su Repubblica del 14 settembre 2020 un articolo che mi ha straordinariamente colpito. E non certo per la sua originalità quanto perché riguardante una intervista (oggi rarissima) di Giuseppe De Rita, uno dei pochissimi maitre-à-penser dell’Italia odierna. L’argomento è molto semplice, ma mi colpì perché nei primi anni ‘80 ebbi modo di trattarlo con una persona di straordinaria importanza per noi e per il mondo intero: Aurelio Peccei.

Fu uno degli ultimi “umanisti” degni di questo aggettivo, un po’ come Erasmo da Rotterdam: ancora oggi il suo pensiero e la sua azione (morì nel 1984) determinano la nostra vita. Aurelio Peccei ha suonato la campanella sul nostro destino di società dei consumi (il pattume prodotto dai rifiuti ci soffocherà perché non possiamo espellerlo al di fuori del nostro stesso Pianeta – fantastico fu, allora, il concetto sconosciuto dello sviluppo sostenibile); ma l’argomento che mi colpì e fece parte di uno scambio di lettere fu il seguente: oggi la nostra esistenza è condizionata da una “filosofia” sottile e sottaciuta, ma terribile, quella basata sulla “competizione” fra gli esseri umani.

Non ce ne accorgiamo neppure: ma questo concetto del “più bravo”, del “più performante”, del più vincente inizia a condizionarci fin dai primi istanti in cui, bambinetti, ci confrontiamo con altri bambinetti nostri simili: poi viene sistematicamente coltivato senza un istante di respiro: la prassi del voto scolastico e, prima ancora all’asilo, del “ma no, guarda Luigino quanto è bravo!” altro non è che una pedissequa applicazione di questa stupida e micidiale prassi. E lo sport? Che cosa è se non una esasperata competizione? E l’obiettivo del lavoro (che dovrebbe essere dignità e onore di ogni uomo) come altrimenti viene coniugato nella vita di tutti i giorni, di tutti i minuti?

Stupida, micidiale? Già: aggiungo “terribile”. Alla fine del nostro modesto epistolario Peccei mi disse che bisognava cominciare a modificare il concetto di economia: elemento di governo in un mondo nel quale, per fortuna senza sbudellarci a vicenda, vigeva tranquillamente la legge del più forte: un tempo la si definiva la legge del “homo homini lupus”. Terribile.

Mi diceva Peccei: ma si è mai posto una domanda semplice? Quale dovrebbe essere la caratteristica fondamentale di una economia moderna? Il compito (di voi economisti) oggi è quello di inventare, far nascere e sviluppare una “economia dal volto umano“: una economia-strumento per la felicità degli uomini e nient’affatto per la prevaricazione dei forti sui deboli. Ma in ogni caso, la prima cosa da fare era quella di piantarla con il giochino della competizione, versione moderna e ancora più subdola del “homo homini lupus”.

Utopia? Ma anche il cannibalismo fra gli uomini, il “mors tua vita mea”, la schiavitù legale erano normali prassi di vita: eppure con millenni di crescente (ma lentissima) saggezza qualcosa di gigantesco è stato modificato nell’esistenza umana. Eh già: pensieri da intellettuale, da gente ..”su”, che spesso parla col “birignao”…

Nel 1996 avevo pubblicato un libro (editore Lupetti): Il sciur Brambilla verso il 2000. Raccontavo le mie esperienze in una società di Solbiate Arno (una forgia) e alcune mie idee sul problema delle piccole e medie imprese in Italia. Il libro ebbe un discreto successo (3.000 copie vendute) e raggiunse molti punti sensibili del sistema manifatturiero italiano. Non ricordo ora come fu: ma questo libro giunse nelle mani di Umberto Bossi detto “il senatur”, che mi fece convocare nella sede di via Bellerio a Milano della Lega Nord.

Io non ero leghista e men che meno iscritto, però ci andai volentieri: era l’unico politico che in qualche modo aveva letto il libro e ne era stato colpito. Per il resto, calma piatta (nulla di nuovo sotto il sole). Quattro ore a tu per tu. Fantastico. Mi trovai davanti un personaggio pieno di idee, fresche e determinate: in quel momento ne fui affascinato. Sembrava di sentire parlare Peccei: con un punto in più che Peccei non toccò, ma che certamente faceva parte del suo umanesimo cristallino.

Espresse gli stessi concetti (anche Bossi, oh forza del destino, mi definiva “economista” ) ma ne aggiunse uno che a me, al quale l’umanesimo è caro e fondamentale, colpì nel profondo. Non solo tirò fuori la questione della competizione fra uomini, ma aggiunse con forte vigore: “Voi economisti avete un obbligo morale: dovete ‘inventare’ una economia dal volto umano ma dovete anche pensare che là dove volete più liberismo proprio là cresceranno le torme di nostri fratelli che non reggono la corsa della competizione. Volete il doppio del liberismo? Preoccupatevi del doppio degli ospiti di San Patrignano, di Don Ciotti, di personaggi la cui vita viene massacrata dalla competizione e che, per colpa certamente non loro, non riescono a sostenere: troppo comodo rifarsi a Colbert, ad Adam Smith, a Keynes, al laissez faire laissez passer e avanti sempre con la medesima giaculatoria che ha creato questa situazione di disuguaglianza e di sacrificati: troppo comodo. Sotto il profilo ideale di un umanista questa è paccottiglia”. Anzi, utilizzò un’espressione molto più ficcante: “mucillaggine peristaltica”.

Finì che divenni un collaboratore piuttosto stretto di Bossi, ma solo per meno di quattro anni: poi percepii una virata intellettuale-morale che mi indusse ad abbandonare la Lega. Bene. Questo racconto (pura verità) però a me sembra che sveli una cosa: quella osservazione di Peccei (oggi ripresa alla grande da De Rita) non è argomento solo di intellettuali raffinati e capaci di pensare, ma sta già circolando piano piano ai livelli più bassi, più umani. Che il Padreterno ci dia una mano in questa direzione.

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