Come definire il clima che si vive a Taranto a poche ore dalle elezioni regionali? Che cosa prova chi in questi anni è sceso in piazza per chiedere la fine dell’inquinamento dell’Ilva? Quali orientamenti prevalgono in quell’area che ha premiato il M5S sfiorando a Taranto il 48% nelle elezioni politiche di due anni fa?

Forse c’è solo una parola che può riassumere efficacemente la situazione attuale. E quella parola è disincanto. Siamo ormai oltre la protesta, oltre la rabbia, oltre la delusione. Siamo al disincanto verso un M5S che non ha mantenuto le promesse. Siamo al disincanto politico, ossia a quello stato dell’animo di chi si sente ormai vaccinato dal virus dell’illusione. Un amaro disincanto. Dall’Ilva, alla Tap, alla Tav, agli F-35, il Movimento aveva promesso due anni fa cose che oggi ha accantonato. Se si ha la pazienza di leggere e rileggere il programma del sito pentastellato “Laricchia Presidente”, si troveranno parole generiche sulla chiusura progressiva delle fonti inquinanti e sulla pianificazione della chiusura dell’area a caldo. In quanto tempo?

La candidata presidente Antonella Laricchia difficilmente potrà entrare in contrasto con Luigi Di Maio, il quale chiede che i vertici di ArcelorMittal “si siedano al tavolo con l’Italia e ritirino quel ricatto”, aggiungendo chiaro e tondo: “Dobbiamo lavorare a trattenerli in Italia”. Il pensiero di Luigi Di Maio è chiarissimo: “L’Ilva è il simbolo di uno Stato che in questo momento deve farsi rispettare. Tutti devono stare dalla stessa parte, che è quella dei lavoratori e non delle multinazionali. Se l’intenzione di Mittal è quella di andarsene dopo aver firmato un contratto con lo Stato italiano in cui si impegnava a prendere 10.500 lavoratori e fare 8 milioni di tonnellate di acciaio, allora ha sbagliato governo, perché non glielo permetteremo”.

Ecco perché il programma del M5S rimane sul vago. E’ circolata in questi giorni una dichiarazione della Laricchia del tipo “se vinco chiudo l’area a caldo”, ma era solo un titolo di giornale. La dichiarazione effettiva è stata: “Se sarò eletta presidente della Regione porterò le richieste del territorio ai tavoli nazionali”. Si farà portavoce della richiesta dell’area a caldo dell’Ilva. Nulla di più.

Per cui la strada verso la presidenza della Regione è una strada nel deserto affettivo del disincanto. Potrà solo sottrarre voti a Michele Emiliano ma non ha nessuna speranza di vincere. Tanto che Andrea Scanzi ha invitato in Puglia al voto disgiunto: croce sul M5S per i candidati e croce su Emiliano per la presidenza. Invito a cui è seguito a ruota anche quello di Marco Travaglio. Stanno ricevendo in queste ore insulti.

Ma se questa è la situazione nell’area del M5S, non va meglio la situazione per il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Nel suo programma elettorale l’Ilva c’è, ed è collegata alla parola “decarbonizzazione”. Una decarbonizzazione di cui però non sono fissati chiaramente gli obiettivi: totale, parziale, progressiva? Quanti morti si dovranno ancora accettare per vedere la nascita di un’Ilva decarbonizzata? Ma soprattutto la decarbonizzazione è vista da una parte consistente del movimento ambientalista come il cavallo di Troia con cui far entrare i soldi europei del Recovery Fund e dare nuova linfa all’Ilva.

In tal modo la decarbonizzazione – appoggiata anche dal Pd nazionale e da qualche esponente del M5S a Roma – servirebbe a far proseguire un percorso che non chiude gli attuali impianti inquinanti (costerebbe troppo sostituirli totalmente) ma vi aggiunge solo qualche progetto “decarbonizzato”. In città c’è disincanto ma non rassegnazione: ovunque è affisso l’adesivo “Ilva is a killer”. L’idea della decarbonizzazione è vista con sospetto, è percepita come la libertà di continuare a far scorrazzare in città un leone in attesa che arrivino i croccantini vegetariani e che il leone venga educato ad una nuova dieta.

Emiliano sa che questa proposta, apprezzata a Roma, non convince a Taranto ed è anzi vista con sospetto. Sa di non essere sintonizzato con un’opinione pubblica che si attendeva di più e di meglio. E non è un caso che ha fatto una dichiarazione che appare come un mea culpa. Infatti il 15 settembre a Taranto ha detto: “In questi cinque anni, devo essere sincero, per mia responsabilità io non sono ancora riuscito a rasserenare questa città con fatti concreti che la convincessero finalmente delle grandi aspettative che il futuro le può riservare. Aiutatemi ad aprire il mio cuore verso le cose che ancora non ho capito, aiutatemi a riparare a tutti gli errori che ho fatto, aiutatemi a rispondere a tutte le domande che non ho sentito o non ho voluto sentire perché anche io ho i miei limiti”.

Quanto al candidato presidente Raffaele Fitto, che compatta tutto il centrodestra, Lega compresa, non occorre scrivere tanto: nel suo programma elettorale l’Ilva non compare. E neppure la parola “inquinamento”.

Intanto l’Ilva continua a costituire un rischio sanitario inaccettabile anche a produzione ridotta, come ha dimostrato la Viias (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario) calcolata su una produzione ridotta a 4,7 milioni di tonnellate/annue. E, cosa su cui tutti sorvolano, accumula perdite da record.

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