Aveva 96 anni. Dirigente del Pci e figura storica della sinistra italiana, non ha mai abbandonato il dibattito politico e la riflessione sui movimenti operai e sulla lotta femminista
Era una “ragazza del secolo scorso“, come lei stessa si è definita nel libro di memorie che porta questo titolo. Giornalista, scrittrice, dirigente del Pci e figura storica della sinistra italiana. Fondatrice della rivista e del quotidiano il Manifesto. Rossana Rossanda è morta nella notte a Roma, aveva 96 anni.
Rossanda nacque nel 1924 a Pola, ai tempi provincia italiana, poi annessa alla Croazia jugoslava nel 1947. Tra il 1937 e il 1940 frequentò il liceo classico Alessandro Manzoni di Milano e anticipò di un anno l’esame di maturità. All’Università Statale fu allieva del filosofo Antonio Banfi. Durante la Seconda guerra mondiale partecipò, giovanissima, alla Resistenza come partigiana. Subito dopo il conflitto si iscrive al Partito comunista. Nel 1958 entrò nel comitato centrale del Pci e grazie anche alla sua vasta cultura venne nominata dal segretario Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale, che diresse dal 1963 al 1966. Gli amici del partito la chiamavano “ingraiana”, perché gravitava nella sfera di influenza di Pietro Ingrao e apparteneva all’ala più movimentista del Pci. Fu deputata alla Camera dal 1963 al 1968.
Fortemente critica nei confronti del “socialismo reale” dell’Unione Sovietica e del legame tra il partito russo e quello italiano, nel 1969 fondò con Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri il giornale Il manifesto, da cui prenderà il nome anche la corrente di pensiero critica nei confronti della nomenklatura del partito. Nel 1968 condannò duramente l’invasione della Cecoslovaccia da parte dei Paesi del Patto di Varsavia, in aperto contrasto con le posizioni del partito. Per questo, durante il Congresso nazionale del 1969, Rossanda e tutta la corrente furono radiati dal Pci.
Decide di lasciare per alcuni anni la politica attiva per dedicarsi al giornalismo e alla letteratura, ma senza abbandonare il dibattito politico e la riflessione sui movimenti operai e sulla lotta femminista. Dopo essere stata direttrice del Manifesto fin dalla sua fondazione, nel 2012 lascia il giornale a causa di divergenze con il gruppo redazionale.
Numerosi i messaggi di cordoglio dal mondo della politica. “Grazie per ogni parola scritta che ci ha aiutato sempre a vedere al di là del nostro sguardo”, ha scritto su Twitter il ministro delle Politiche Ue Enzo Amendola. “Ci lascia una grande eredità: che cultura e politica non possono essere mai disgiunti, e che per gli ideali vale la pena spendere una vita”, scrive sui social il segretario del Pd Nicola Zingaretti. “Il suo sguardo lucido e mai convenzionale sul mondo ci mancherà”, la saluta il ministro dell’economia Roberto Gualtieri. “Rossana Rossanda è entrata nella mia vita prima ancora che nascessi col Manifesto, che mio padre aveva contribuito a fondare – la ricorda affettuosamente il portavoce nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni – Una intellettuale comunista, rigorosa, lucida e curiosa”. La presidente dei deputati di Italia Viva Maria Elena Boschi: “Donna, partigiana, giornalista e intellettuale, tanti volti e sempre contro corrente – scrive – Non ha mai smesso di guardare la realtà con spirito critico, talvolta aspro e sempre senza sconti”, conclude. Anche il ministro della Salute Roberto Speranza saluta la “ragazza del secolo scorso” e le sue battaglie, “che ci mancheranno”. La senatrice Loredana De Petris (Leu), presidente del gruppo Misto, ricorda la sua “lotta per il riscatto sociale con la difesa dell’eredità liberale. Non dimenticheremo né lei né la sua lezione”, scrive. “Ha espresso valori di libertà e spirito critico in maniera esemplare”, dice il sottosegretario all’Editoria Andrea Martella. Cordoglio anche da parte di Mara Carfagna, vicepresidente della Camera: “Una delle figure femminili più importanti del ‘900 – scrive la deputata di Forza Italia – Pur nella lontananza delle nostre posizioni politiche, ho ammirato il carattere straordinario e la rara virtù della disobbedienza al dogma”.