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Il Covid non sgonfia la “bolla” di Milano. Tra finanza immobiliare e canone concordato al palo, ecco perché gli affitti non scendono

Con meno persone e più case vuote, il risultato dovrebbe essere la discesa dei prezzi. Ma secondo gli addetti ai lavori non accadrà. Perché in una città attrattiva per "cervelli" e multinazionali la casa diventa asset finanziario e aumentano gli investimenti dei fondi, che ragionano su orizzonti lunghi. Mentre la domanda delle fasce più fragili continua a non trovare risposte sul mercato né nel pubblico

Una stanza in affitto per uno studente? 565 euro, in media. Come nel 2019, prima della pandemia. Anche se nel frattempo le disponibilità sono aumentate del 290%, 12mila residenti se ne sono andati, 17mila famiglie hanno chiesto aiuto al Comune perché non riescono a pagare. Tanti a Milano avevano pensato che il Covid avrebbe almeno calmierato il caro affitti. Con meno persone (fra smartworking e calo del turismo) e più case vuote sul mercato, il risultato dovrebbe essere la discesa dei valori immobiliari e, soprattutto, degli affitti. Non sta accadendo, e secondo gli addetti ai lavori non accadrà. “L’immobiliare reggerà”, ripetono come un mantra i manager del settore. Dietro la loro sicurezza c’è il fatto che in una città attrattiva per “cervelli” e multinazionali la casa diventa bene di investimento e prolifera la finanza immobiliare, che ragiona con tempi diversi da quelli dell’uomo comune e prevede di investire a Milano 13 miliardi nei prossimi 10 anni a dispetto del virus. Mentre la domanda delle fasce più fragili continua a non trovare risposte sul mercato né nel pubblico.

Più stanze libere, ma in agosto la domanda è aumentata – I dati del Centro Studi di Immobiliare.it al 31 agosto fotografano una situazione paradossale per il capoluogo lombardo. La disponibilità di stanze singole e posti letto – la “merce” più ricercata da studenti universitari e lavoratori immigrati di breve periodo – è aumentata del 290%. Ma l’impatto sui canoni è quasi nullo: 565 euro è il prezzo medio richiesto per una stanza singola. Rispetto al 2019 pre Covid? Meno 1 per cento. Per le compravendite, l’ultima analisi condotta dall’Ufficio Studi del gruppo Tecnocasa mostra che Milano è la città dove occorrono più annualità di stipendio per comprare casa: 11,1 anni contro una media nazionale di 6,6.

Diversi osservatori del settore invitano alla cautela. A cominciare dallo stesso amministratore delegato di Immobiliare.it, Carlo Giordano: “Il mercato immobiliare è più lento rispetto ad altri nell’assorbire il contraccolpo di avvenimenti esterni, come il Covid-19, ed è presto per dire se ci sarà un impatto anche sul prezzo delle stanze in affitto”. Alcuni segnali embrionali peraltro vanno in controtendenza rispetto alla narrazione sulla città svuotata post pandemia. Il Politecnico, per esempio, ha registrato un aumento del 3% sulle immatricolazioni degli universitari alla Facoltà di Ingegneria, dopo gli appelli estivi del Rettore Ferruccio Resta per invitare studenti e personale a rientrare a settembre. E sempre il noto portale immobiliare ha notato ad agosto un incremento del 25% della domanda di stanze e posti letto rispetto a quella consueta del mese estivo. “Indice che l’interesse c’è, ma si sta temporeggiando”, chiosa Giordano.

La fragilità messa in luce dal Covid e lo scontro sui social – Milano non si ferma, quindi? Non esattamente. Il lockdown e la crisi economica successiva hanno messo in risalto una condizione di fragilità dell’economia urbana e dell’abitare in città sconosciuta, o comunque sottaciuta, nel dibattito pubblico e politico prima di questi mesi. Andando a colpire anche fasce della popolazione – come studenti e lavoratori di servizi e terziario – generalmente non considerati fragili. E quasi mai destinatari delle prestazioni di welfare. “In questa fase è necessario comprendere l’impoverimento, prima ancora della povertà”, commenta Alessandro Coppola, ricercatore al Politecnico. Un impoverimento che ha degli effetti ben visibili anche nei “luoghi” dove si crea il mercato degli affitti in città. Durante i mesi della pandemia i gruppi e le pagine sui social network che si occupano di affitti a Milano, frequentati da decine di migliaia di utenti, si sono trasformati: da luoghi in cui si incrociano domanda e offerta di appartamenti, a spazi virtuali di discussione, quasi sempre verbalmente violenta. “Ladri” è l’accusa ai proprietari di casa colpevoli di fare prezzi troppo alti. “Parassiti”, o ancora “se non avete i soldi tornatevene a casa”, è la risposta che arriva dall’altra parte della barricata a chi non è in grado di spendere 700-800 euro per un monolocale perché ne guadagna 1.200 quando va bene.

Da febbraio 12mila residenti in meno e 17mila richieste di aiuto per l’affitto – Dagli spazi virtuali a quelli reali: sono 12mila i residenti in meno da febbraio a oggi. La disoccupazione è salita al 7,2 per cento, di due punti in pochi mesi, e ciò è avvenuto nonostante il blocco dei licenziamenti ancora in vigore e senza considerare le migliaia di persone che campano o arrotondano con lavori e lavoretti in nero, sfuggendo ai radar delle statistiche. Solo a maggio, nei 20 giorni in cui è stato aperto il “bando sostegno affitto” del Comune di Milano – con requisiti d’accesso molto stringenti, per importi pari a 1.500 euro per pagare quattro mensilità – sono arrivate al Comune 16.965 richieste di aiuto da parte di famiglie. Le risorse disponibili coprono circa un terzo delle famiglie. Molte delle quali hanno un numero di componenti superiore a quel 2,3 della media nazionale Istat e quindi parliamo di almeno 40mila persone in totale sofferenza abitativa sul mercato privato.

I numeri sugli sfratti rilasciati dal Viminale a inizio agosto, riferiti al 2019, quindi pre pandemia e durante una fase di crescita economica per la città, parlano di 1.582 nuovi provvedimenti emanati dal tribunale meneghino e 16.513 richieste di esecuzione sfratto presentate agli ufficiali giudiziari. Oltre a 2.416 famiglie già fisicamente allontanate dall’abitazione con la presenza di forze dell’ordine. Nel 90% dei casi la causa dello sfratto è la morosità. L’impossibilità, cioè, di far fronte alle spese.

Da maggio a settembre solo 55 contratti a canone concordato – Di fronte a queste cifre, in tanti hanno sperato che Covid avesse almeno un effetto “benefico”. Quello di calmierare il mercato immobiliare e delle case in affitto del capoluogo lombardo. Che dal dopo Expo in poi (2015) macina record su record in apparenza scollegati dai fondamentali economici della città, a cominciare da occupazione e redditi. Non è accaduto. E un dato parla più di tutti gli altri. L‘Agenzia sociale per la locazione del Comune si chiama “Milano Abitare”. Offre ai proprietari di case in affitto la possibilità di locare gli appartamenti a canone concordato, con contratti fino al 30 per cento più bassi del mercato. In cambio propone una serie di garanzie pubbliche che vanno dalla copertura per le spese di ristrutturazione fino a 5mila euro e un fondo contro la morosità degli inquilini che copre 18 mensilità (il tempo medio per ottenere uno sfratto). Poi incentivi fiscali, come la cedolare secca al 10% al posto di quella al 21 o dell’aliquota marginale Irpef sui proventi della propria casa in affitto. Uno strumento nato nel 2015 e su cui il Comune di Milano scommette molto per rinegoziare una quota importante dei fitti in città e costruire un mercato più accessibile. Ma il canone concordato non è mai decollato. Nemmeno con il Covid. Da maggio a settembre – fa sapere al Fattoquotidiano.it l’Assessorato alle Politiche abitative – l’agenzia “Milano Abitare” ha intermediato 55 contratti a canone concordato.

Il manager: “Il privato non risponderà alla domanda dei fragili, ci pensi il pubblico” – Il lockdown ha reso tutto complicato, ovviamente anche nella registrazione e trasmissione dei documenti. Ma numeri così bassi dimostrano solo che il mercato non sta scendendo, non sta rinegoziando i fitti al ribasso in cambio di una maggiore sicurezza sulla riscossione. Perché? “I prezzi non scendono perché veniamo da due anni di vera euforia sul mercato immobiliare che assomiglia molto a quella dei periodi che precedono le bolle”, dice al Fatto.it un manager del settore real estate di una banca internazionale che chiede l’anonimato. “Nel breve periodo l’effetto Covid porterà al ‘congelamento’ di alcuni progetti, ma non si ha la percezione di una controtendenza”. Il manager fa anche un secondo ragionamento: “Nella narrazione comune il motivo del caro affitti a Milano è che non si trovano le case. Non c’è un mercato perché la casa in affitto non è mai stata un asset class da investimento immobiliare per i grandi operatori e quindi ce ne vorrebbero di più per raggiungere un equilibrio”. “Ora – chiude – le operazioni mirate si stanno facendo ma gli affitti non sono tutti uguali. Quella fetta di popolazione che era esclusa prima rimarrà tagliata fuori anche adesso” perché “è inutile pensare che l’iniziativa privata possa dare risposta a una domanda che non ha mercato come è quella dei più fragili. Il compito di occuparsi della domanda sociale vera non è del privato ma del sistema delle regole, degli incentivi e dell’iniziativa pubblica”.

La “finanziarizzazione” dell’affitto – Una visione diversa ma in parte complementare la propone Emanuele Belotti. Ricercatore sui temi abitativi prima presso il University College di Londra e ora all’Università Iuav di Venezia, gli studi di Belotti si concentrano su quella che lui chiama “finanziarizzazione dell’affitto”. “Nella fase post 2008 – dice al Fatto.it – in cui la Bce attua una politica monetaria di bassi tassi di interesse, anche i flussi di capitali internazionali guardano con maggiore attenzione a rendimenti del 2-3 per cento. Questi rendimenti, in passato considerati troppo bassi, sono oggi resi appetibili dal basso costo del denaro, facendo dell’affitto un nuovo potenziale asset finanziario con evidenti ricadute su prezzi e dinamica tra domanda e offerta”. Non accade su ogni segmento del mercato immobiliare e non accade in ogni luogo del mondo. Ma solo in quelle 100-150-200 città del globo che continuano ad essere “attrattive” e a giocare in un campionato a parte, l’una contro l’altra, per attrarre i migliori “cervelli”, gli studenti di fascia più alta, i migliori manager, i grandi eventi, gli headquarter delle principali società e multinazionali del mondo, i palazzi di istituzioni internazionali. In sintesi quello che per anni in Italia è stato chiamato “Modello Milano”.

“È una dinamica simile a quella vista a Londra dopo la crisi del 2008: il Regno Unito era uno dei Paesi più esposti alla crisi dei mutui subprime, molto più dell’Italia. Eppure dopo una breve flessione i valori di Londra sono subito tornati a crescere. Queste città sono considerate quasi delle città-rifugio per i capitali internazionali, un fatto che può concorrere a spiegare la relativa tenuta dei valori immobiliari anche nelle fasi di crisi”, spiega il ricercatore. Tra i segnali più visibili di questa dinamica: il proliferare di fondi d’investimento, fondi immobiliari e società di gestione del risparmio sempre più specializzate in sotto-categorie dell’abitare come il “senior housing”, “senior living”, “student housing”, “co-housing”, “social housing, “co-living” e via dicendo, solo per fermarsi al settore residenziale senza considerare commerciale, uffici e logistica.

Il modello Airbnb che impatta anche sulle locazioni lunghe – E infine vi è la crescita delle piattaforme di intermediazione e delle società di property managment. Nascono come startup finanziate da fondi di venture capital, sulla scia del “modello Airbnb” e del suo affermarsi in chiave planetaria, occupando però un perimetro molto più vasto di quello di pertinenza del colosso californiano degli affitti brevi e turistici. A Milano sono ormai quasi 20mila gli alloggi destinati al mercato delle locazioni brevi e turistiche. Il Covid ha affossato quel pezzo di economia (meno 99 per cento gli accessi nei mesi di lockdown) ma prima della pandemia l‘Osservatorio sugli affitti brevi di Halldis – una delle più importanti società del settore – registrava un prezzo medio giornaliero di 112 euro a notte. Significa quasi 3.500 euro al mese per ogni appartamento, se sfruttato al massimo delle sue potenzialità. Cifre che ovviamente finiscono per impattare – al rialzo – anche sul mercato residenziale e delle locazioni più classico e di lungo periodo.